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La rivincita delle sfigate - Recensione: il SuXbad che piacerebbe a Billy Wilder

Booksmart, debutto alla regia di Olivia Wilde, è il primo passo verso la nuova commedia americana, tra il demenziale di Suxbad e il cinema di Billy Wilder 

Olivia Wilde è uno dei doni più grandi che sia mai stato fatto alla macchina da presa. Scusate la terrificante mancanza di compostezza, ma si suol dire che al cuore non si comanda e questa situazione, cari lettori di CineFacts.it, ne è dimostrazione totale.

 

 

Amo la particolarità, le geometrie inaspettate mescolate alla perfezione del caos geneticamente ordinato della natura, tanto quanto l'estro assurdo e meditato della fantasia umana e tornando al creato, quello cosmico, Olivia Wilde ha un viso disegnato per l'obiettivo; che questo sia di una macchina da presa o di una reflex poco importa.

 

L'altro cruccio che domina il mio cuore è la California, mito cresciuto in me nel tempo grazie al cinema e soprattutto ai Red Hot Chili Peppers, band che ha dedicato allo Stato americano molti brani, passando dalla famigerata Californication fino a giungere a Dani California, facendone spesso, anche quando non protagonista, sfondo di testi e sonorità funky, pop e rock.

 

Prendendo spunto dal famigerato rooftop concert dei Beatles, i RHCP hanno nuovamente reso grazie alla loro madre terra registrando il video di The Adventure of Raindance Maggie su di un tetto di Venice Beach, al tramonto.

 

 

 

 

Quando Olivia Wilde e i Red Hot Chili Peppers s'incontrano si genera, per me, Dio.


Dark Necessities, signolo tratto da The Getaway, diventa video musicale grazie alla regia della Wilde, mettendo in scena immagini di un concetto di Californication tipico dei Chilis.


Un appartamento barocco nel fascino eccessivo di una carta da parati anni '70, tagliato da luci forti e ombre scure e ammorbidito da vecchi tappeti dai dai colori vividi, ragazze skater un po' punk e un po' swag, caratteri in shorts a diventare missili di ribellione su skate, senza paura dei lividi e delle abrasioni provocate dall'asfalto, sapore di sigarette ammorbidito da una birra da store 24/7, calze a rete strappate e Flea che suona maniacalmente il basso in un lavello sporco.


Un video che sa di California, di fuga, di asfalto caldo in una notte fresca e che da già dimensione della voce che la Wilde sembra possedere, partendo da Lords of Dogtown di Catherine Hardwicke, per spostarsi verso il presente.

 

 

 

Eppure, annunciato Booksmart (titolo originale de La rivincita delle sfigate) mi sarei aspettato di trovare al cinema una commedia americana moderna nei toni della sceneggiatura, ma strutturata attorno a quel cinema indie da Sundance, quel racconto mitico dell'americano underdog, un po' outsider e un po' stramboide, immerso in un mood scanzonato scandito nel ritmo dai distinguibili tre atti a descrivere l'ascesa mitica, spesso dall'area surreale, dei protagonisti verso il loro obiettivo.

 

Sono maledettamente felice di aver mancato completamente il bersaglio, una valutazione viziata dal recente demenziale americano che si spreca spesso in canovacci, regie e produzioni estremamente scolastiche nella forma e talvolta eccessive, nel verso sbagliato, nella loro stupidità.


La commedia, in senso ampio, continua a stagnare in simili problemi, lasciando a casa le mescolanze di generi, lezione imparata invece da Seth Rogen, Judd Apatow, Evan Goldberg e altri, che inseguendo i dettami di registi come John Landis hanno creato film, più o meno di successo, carichi di una dinamica fatta di genere e follia satirica - The interview è stato forse un capolavoro di questa crescita. 

 

 

 

 

La rivincita delle sfigate di Olivia Wilde è un proto-Suxbad, una commedia generazionale che si discosta dalla sua aria da Sundance per fondersi con i concetti fondamentali del cinema classico e del nuovo demenziale, raccontando una generazione descritta sullo schermo solo ed esclusivamente a livello superficiale.


Il film ci porta nella logica dei nuovi teen attraverso la storia di due secchione, interpretate splendidamente da Beanie Feldstein e Kaitlyn Dever, costrette a ribaltare interamente il loro approccio all'età dell'adolescenza, prima di lasciarsela alle spalle per andare al college.


Un plot che passa attraverso il potere della gioventù e la paura di lasciarsi consumare da esso, seguendo linee guida tracciate da chi quel potere lo ha perduto, imponendo schematiche direzioni facendo leva sulle ansie, le paure e il senso di smarrimento di intere generazioni cresciute da genitori incapaci di creare sicurezza nella società.


Un racconto a legittimare la diverstità in quanto condizione dell'individuo all'interno di una collettività in implosione, fatta di diverse versioni dell'io, identità e maschere alla ricerca di mescolanze di carattere e stanche di reprimersi in cubicoli situazionali.


Un film che, attraverso la metafora di due geek alla scoperta del potenziale a loro nascosto, vuole ricordare al pubblico come il potere spropositato della gioventù giaccia nella naturale predisposizione alla complessità, che questa sia sessuale, dell'anima o della nostra moralità, dotandoci della capacità di essere al contempo tutto e il contrario di tutto, e di come quando le sovrastrutture ci limitano perdiamo ogni libertà e possibilità di essere davvero la versione migliore di noi stessi.

 

 

 

 

La sceneggiatura scritta da Emily Helpern, Sarah Haskins, Susanna Fogel e Katie Silberman evita il comune tranello del tono filo propagandistico ostentato da molti film, anche di successo, nel portare avanti concetti e temi liberali o d'inclusione, abbandonando il grassetto, il capslock e gli accenti, scongiurando il pericolo d'inimicarsi larga parte del pubblico, spesso frustrato da film d'intrattenimento la cui morale è talmente evidente da farlo sentire in difetto, quando invece dovrebbe solo assimilare determinate realtà del mondo contemporaneo in quanto cronaca del presente.


Lo script sceglie infatti di raccontare un mondo narrativo, il nostro mondo, nel quale le dinamiche dell'America più liberale, quella dei grossi centri e del quotidiano, non sono la voce di minoranze da raccontare e preservare attraverso una coatta accettazione, ma semplicemente il contesto, una polaroid digitale del tempo presente.


In questo modo i rapporti omosessuali, l'invadenza del mondo digitale che ha cresciuto ragazzi ingenui rispetto all'esterno reale, le droghe e gli stessi rapporti con i nuovi adulti, non sono più la linea di testo evidenziata in giallo, ma la consapevolezza di un intero libro scritto con e da quei personaggi e contesti poiché presente e non futuro prossimo; la normalità non è antagonista e l'antagonista non esiste, rassicurando lo spettatore su ciò che è e su come viene descritto dall'artista.

 

L'altro enorme pregio della sceneggiatura è la struttura scelta per raccontare il viaggio delle due protagoniste Amy e Molly, inscritta in una sorta di film on the road urbano a raggiungere il party dei ragazzi più fighi del liceo.


Gli eventi sono descritti coerentemente, attraverso un flow narrativo che non è giustificazione a collegare una serie di gag e situazioni esilaranti ma, al contrario, il pretesto perfetto a generare organicamente sezioni di commedia e scene memorabili scritte sui personaggi e non indipendentemente da essi.

 

La scrittura de La rivincita delle sfigate ha oltretutto il grosso pregio di non fondarsi sui dogmi della cultura pop contemporanea, limitando al contorno la presenza di social media e quant'altro, garantendosi una sua universalità anche a distanza di anni.

 

 

 

 

Billy Wilder sosteneva e praticava il concetto di regia invisibile, tenendo pur sempre a sottolineare come fosse importante, nel processo, non annoiare il pubblico.


Wilder avrebbe sicuramente odiato la commedia americana degli ultimi anni e amato alla follia la regia di Olivia Wilde ne La rivincita delle sfigate.

 

Se il cinema americano ci ha abituato, nella commedia, a tagli di inquadrature sempre uguali e ad una messa in scena scolastica, disabituando il pubblico alla ricerca di una regia fatta di movimenti di macchina e citazioni al cinema stesso in forma dissacrante, come faceva John Landis quando usava Mario Bava in The Blues Brothers o come ha fatto e continua a fare Edgar Wright da L'alba dei morti dementi in poi, Olivia Wilde decide invece di spostarsi completamente da questo concetto e studia il suo film cercando i ralenti quando servono, usando la macchina a mano, con garbo, quando le situazioni lo richiedono.

 

Segue i suoi personaggi impostando un taglio particolare per ogni situazione, crea il dinamismo quando serve e grazie alla fotografia di Jason McCormick da un ambiente, come nella musica dei RHCP, un mood, delle vibrazioni a confezionare ogni momento.

 

La rivincita delle sfigate non è mai sciatto, non cerca l'indie a tutti i costi ma anzi si presenta con una forma cinematografica che sembrava dimenticata, nella commedia, unendosi a quegli autori, alcuni dei quali citati in questo pezzo, che sanno fare un meltin' pot dei generi, elevando la commedia a qualcosa oltre il mero intrattenimento, prendendo elementi dal film generazionale, dal demenziale - regalando un Will Forte in una parte piccola ma stupenda - dalla commedia classica e parodizzando magnificamente l'incipit del Birdman di Alejandro G. Iñárritu.

 

 

 

 

La rivincita delle sfigate è stato accostato a SuXbad - Tre menti sopra il pelo (guerra di neuroni per chi ha inventato i titoli italiani...).

 

L'ho fatto anch'io in questa recensione e penso che ci siano delle somiglianze nei toni e nella struttura, ma in un certo senso il paragone sminuisce il lavoro di una pellicola capace di discostarsi da quel cinema per crearsi una sua identità ben precisa, rientrando più nei canoni della commedia classica, poiché anche l'uso del demenziale è misurato e non straripa nel suo essere volgare, merito forse della scrittura al femminile più centrata nello svolgimento di uno storytelling che nella ricerca della risata sull'esplosività delle gag.


Un film omogeneamente strutturato su diversi sentimenti e che non preannuncia quasi mai il cambio dei toni, rendendo la presenza di momenti intimi, comici, sopra le righe, drammatici e addirittura psichedelici, una scena ben precisa diventa proprio un trip da acidi, organicamente fusi nel flusso della storia.


I tre atti non sono così marcati e leggibili, evitando quel distaccamento che, anche al cinema, ti riporta sulla poltrona con la consapevolezza di stare per assistere alla scena del riscatto del nerd o lo sciorinamento morale del tutto, anzi con carattere landissiano, i protagonisti ribaltano i totem dei loro traguardi. 

 

La rivincita delle sfigate è la scoperta del talento registico di Olivia Wilde, la nascita di un nuovo simbolo della commedia americana, un film per questa generazione e per tutte le altre, grazie alla discreta invasività in sceneggiatura dei simboli della cultura pop contemporanea.

 

Un film che, grazie alla sua regia e messa in scena, non dovete assolutamente lasciarvi scappare in sala.


L'uscita de La rivincita delle sfigate è prevista in italia per il 22 agosto.

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