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Una tomba per le lucciole è un film di Isao Takahata che, come pochi, non applica nessun filtro glitterato alla Storia, tanto crudele quanto commovente.
Per quanto il concetto di kawaii affondi le sue radici in epoche antichissime la cosiddetta kawaii culture ha iniziato a spopolare dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In un Paese rigido come lo è il Giappone l’adorazione nei riguardi di ciò che è tanto grazioso quanto irreale funge da fuga da una vita tutto sommato opprimente.
Ciò che è più importante notare però è la kawaii culture ha contribuito a restituire all’Occidente un’immagine diversa del Giappone.
In seguito alla resa e agli accordi con gli Stati Uniti l’industria dell’intrattenimento ha contribuito a costruire un’immagine del Paese più serena e, in un certo senso, amabile che ancora oggi ammalia molti giovani in tutto il globo.
Del resto non si può odiare un Paese che produce una così corposa iconografia di teneri gattini.
I primi tratti distintivi della kawaii culture sono stati ispirati proprio dalle rotondità e le carinerie del mondo Disney.
Le tensioni assopite e le paure irrisolte si sono palesate lì dove l’industria dell’intrattenimento è diventata arte.
Sono molte le opere nel mondo del Cinema e del fumetto a lasciar trasparire, metaforicamente o in modo più diretto, le contraddizioni di una nazione in cui si scontrano continuamente un’anima nera e una rosa.
[Il trailer di Una tomba per le lucciole]
Basti pensare al fatto che molte delle migliori produzioni nipponiche animate trattino distopie e mondi post-apocalittici, simboli della ferita ancora aperta della bomba atomica che probabilmente mai verrà rimarginata.
Il 16 aprile 1988 in Giappone uscì Una tomba per le lucciole di Isao Takahata, il “genitore 2” dello Studio Ghibli.
Con una scelta di marketing che oggi verrebbe definita suicida il film decide di rivelare il colpo di scena all’inizio: i due protagonisti moriranno.
Sono due fratelli, Seita e Setsuko, abbandonati a loro stessi durante la Seconda Guerra Mondiale.
È struggente, ma è la verità della guerra - l'opera è infatti tratta da un racconto semi-biografico di Akiyuki Nosaka - e Isao Takahata vuole raccontarla così com’è, senza sotterfugi ma non senza poesia.
[Un frame da Una tomba per le lucciole]
Si dice che ciò che è importante in un viaggio sia ciò che si prova nel mentre e non il punto d’arrivo; allo stesso modo gli spettatori del capolavoro di Takahata patiscono ancor di più ogni passo del percorso che porta alla fine.
I pochi momenti di spensieratezza dei due bambini, un fratello maggiore con la sua sorellina, hanno un sapore agrodolce.
Grazie a questo espediente Una tomba per le lucciole assume ancor di più i toni della tragedia più che del dramma: l’esperienza del dolore, rafforzata dalla conoscenza del finale, permette di riflettere con più raziocinio sui temi di natura universale e, in questo caso, morale.
La situazione è irrisolvibile, le necessità dei bambini e l’orrore del conflitto sono inconciliabili.
[Un frame da Una tomba per le lucciole]
I due orfanelli sfuggono ai bombardamenti ma non alla malnutrizione: vengono sfruttati e successivamente abbandonati.
L’essere umano che per spirito di conservazione tende a sacrificare i più deboli nei momenti di necessità, come la guerra.
I bambini sono deboli, un ingranaggio malfunzionante in un Paese che deve fungere da macchina perfetta per sopravvivere.
Come le lucciole, i più piccini illuminano soli i cieli anneriti dal fumo delle bombe, ma sono delicati e facilmente periscono, spegnendosi.
Isao Takahata non ci offre soluzioni: il suo è un film sulla rassegnazione senza autocommiserazione.
Con un approccio fortemente neorealista, che ricorda più il neorealismo italiano che quello di Yasujirō Ozu, Una tomba per le lucciole ci pone di fronte alla natura incontrovertibile dell’essere umano e alla cultura fortemente utilitaristica e pragmatica del Giappone dove esistono vite di serie A e di serie B, la cui importanza è definita dalla capacità di servire al meglio il Paese.
Una tomba per le lucciole è un film a suo modo violentissimo, soprattutto dal punto di vista psicologico.
Non scorrono fiotti di sangue, ma quello che c’è basta a lasciare turbati.
Ci si immedesima nei bambini alla visione del corpo ustionato e dissanguato della propria madre, dopo aver vissuto una vita agiata e serena, nonostante la guerra.
Il fratello più grande cerca di difendere la sorellina dalla cattiveria della zia che pare usarla come capro espiatorio, ricrea il nido familiare in una grotta che li difenderà dalle bombe ma non dal dolore che proviene dall’interno, dagli organi vitali.
La caverna è la casa ed è la gabbia in cui Seita cerca di proteggere l’infanzia di Setsuko.
Riesce in quest’ultimo intento: la bambina infatti morirà mentre mangia palle di fango fingendo siano polpette di riso, spirando durante il suo ultimo disperato e affamato gioco.
[Un frame da Una tomba per le lucciole]
Se ne Il mio vicino Totoro Hayao Miyazaki utilizza la fantasia come metodo prima di fuga e poi di accettazione della malattia, in Una tomba per le lucciole la realtà si palesa nella sua crudezza spegnendo infine anche la speranza che, per antonomasia, è sempre l’ultima a morire.
Non ci resta dunque che ringraziare di cuore il Maestro Isao Takahata per aver regalato al mondo i suoi film.
Piccole, ma fantastiche lucciole a cui è stata concessa l’eternità.
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