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Alien: Romulus - Recensione: lo xenomorfo fa ancora paura

Il nuovo capitolo della saga di Alien riesce a sorprendere per la costruzione della tensione, il ritmo, il dialogo col passato e le suggestioni videoludiche dal contemporaneo

Alien: Romulus porta a mio avviso una ventata d’aria fresca al genere. 

 

Diretto dal regista uruguaiano Fede Álvarez, il nuovo capitolo della saga di Alien si distacca infatti dagli ultimi riflessivi e concettuali lavori di Ridley Scott per tornare alla matrice viscerale e carnale del primo film.

 

[Il trailer di Alien: Romulus]

 

 

Frammenti di Blade Runner 

 

Il primo atto di Alien: Romulus prende il suo tempo per immergere lo spettatore in un mondo che richiama con forza l’immaginario di Blade Runner, con la sua grana polverosa, le colonie di operai, i replicanti e gli sfondi metropolitani cupi e distopici.

 

Questo inizio si discosta in parte dai capitoli precedenti, che dedicavano poco spazio alla descrizione del mondo al di fuori dell’astronave.

In questo quadro evidentemente scottiano, un gruppo di giovani coloni si trova di fronte alla cruda realtà di concessioni promesse che non verranno mai erogate e di un futuro tetro e senza speranza, incastrati come operai nella lugubre colonia mineraria di Jackson’s Star. 

 

La protagonista Rain Carradine (interpretata dalla talentuosa Cailee Spaeny), accompagnata dal fedele androide Andy (David Jonsson), decidono di cogliere un’opportunità rischiosa e irripetibile: saccheggiare il relitto alla deriva di un’astronave, alla ricerca di capsule di combustibile per il criosonno, indispensabili per affrontare il viaggio di 9 anni verso il pianeta Yvaga.

 

 

[Un'immagine di Alien: Romulus]

 

 

Dialogo con il primo capitolo

 

Quando i protagonisti di Alien: Romulus giungono alle porte del desolato relitto, che presto scopriamo essere obsoleto, analogico e impolverato, è come se Fede Álvarez iniziasse a confrontarsi con il passato della saga, con le sue icone e le sue storie.

 

Il regista sceglie un dialogo con l’immaginario di riferimento che riesce a bilanciare l’omaggio alle radici del franchise con una visione più moderna e personale, arricchendo la pellicola con suggestioni contemporanee e influenze videoludiche.

Già dai titoli di testa emerge la tematica del dialogo con il passato, rappresentata da una sonda spaziale che analizza i resti dello xenomorfo del primo Alien, prelevati dalla nave Nostromo. 

In Alien: Romulus i riferimenti ai precedenti capitoli della saga sono numerosi e ben evidenti: l’androide trovato sulla navicella, il modus operandi dello xenomorfo (dai facehugger ai chestburster), l’estetica sordida fino ad arrivare alla citazione diretta attraverso alcune inquadrature e alle dinamiche tra i personaggi.

 

Álvarez utilizza una messa in scena che enfatizza la grana polverosa, i macchinari vintage e l'uso di animatronics, conferendo al film un carattere artigianale che aggiunge un layer di dialogo ulteriore con il suo antenato.

 

 

[Un'immagine di Alien: Romulus]

 

 

Suggestioni videoludiche

 

L'impianto nostalgico e rétro dialoga anche con elementi più freschi e innovativi: in particolare, si notano le citazioni al mondo videoludico.

 

Come dichiarato dallo stesso Fede Álvarez Alien: Romulus attinge da videogiochi come Alien: Isolation e Dead Space. Questi riferimenti non si limitano a citazioni e easter egg, ma si integrano nella struttura stessa del film.

 

A livello narrativo Alien: Romulus sembra procedere per sezioni che ricordano i livelli progressivi di un videogioco, suggeriti e racchiusi dall’apertura di porte pressurizzate che ne segnano l’inizio e la fine.

All’interno di questi limiti simbolici sembrano prendere vita delle prove da superare o delle quest autoconclusive: ricalibrare l’androide per uscire dalla stanza, superare una zona dove brulicano i facehugger, attraversare senza gravità un corridoio con l’acido, risalire la china di un ascensore infestato di xenomorfi, azionare quattro leve per sganciare una parte di astronave. 

 

A ben vedere anche il pretesto dell’intero soggetto rimanda alla pratica del looting, tipica dei videogiochi, con i personaggi che devono saccheggiare un’astronave per reperire l’occorrente. 

 

 

[Un'immagine di Alien: Romulus]

 

 

Fede Álvarez e il suo xenomorfo

 

Oltre a questo dialogo transmediale Alien: Romulus è anche figlio del suo regista sotto molti punti di vista.

 

Dal regista de La casa, remake del 2013 del classico di Sam Raimi, e Man in the Dark, che provava a invertire i caratteri dell’home invasion, è mutuato uno sguardo horror ben preciso: da un lato spiccatamente slasher, sottolineato anche dalla scelta di un gruppo di protagonisti giovani piuttosto che di operai adulti (a discapito di una certa credibilità, ma a favore di un assist alle dinamiche di genere), con delle scelte di messa in scena che riprendono la camera a mano, il jump scare e altre modalità di costruzione della tensione.

 

Dall’altro lato emerge l’attenzione di Álvarez alla tematica della maternità, che intrattiene un rapporto interessante con la saga sotto varie declinazioni e i dettagli che infestano Alien: Romulus sembrano proprio suggerire una riflessione in questo senso: la ragazza incinta, il nome della stazione spaziale (Renaissance) e delle due sezioni (Romulus e Remus), la fecondazione dello xenomorfo. 

Per ultimo, ma non per importanza, Alien: Romulus è secondo me un horror che funziona nella sua natura più profondamente di genere: la paura.

 

Dopo l’iniziale introduzione al mondo dei personaggi, il film rimane teso come una corda di violino dall’inizio alla fine, con una costruzione della tensione giocata sulla minaccia costante e senza posa dell'incolumità dei personaggi, sempre in un modo nuovo, sempre con idee visive e di racconto coinvolgenti, pur mantenendo quel gusto classico e apprezzabile per il cliché. 

 

Alien: Romulus è un racconto senza tregua che non risparmia il sangue e l’orrore, lanciato verso un finale difficile da dimenticare tra il body horror à la David Cronenberg e il terrore puro di Rec - La paura in diretta.

 

[articolo a cura di Matteo Salvetti]

 

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