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Oh, Canada - Recensione: la (tele)camera confessionale - Cannes 2024

Paul Schrader torna in concorso al Festival di Cannes dopo 36 anni con l'adattamento de I tradimenti di Russel Banks e regala a Richard Gere un ruolo inedito e commovente; con Uma Thurman e Jacob Elordi

"Oh, Canada! Our home and native land!" 

Queste le prime parole dell'inno nazionale canadese che Paul Schrader, leggendario regista e sceneggiatore statunitense, ha scelto come titolo del suo ultimo film, presentato in competizione al 77° Festival di Cannes dopo un'assenza di ben trentasei anni, quando partecipò con Patti Hearst all'edizione del 1988.

 

Oh, Canada riunisce Schrader a Richard Gere, divo che il regista ha contribuito a lanciare nel 1980 con American Gigolo, allora uno dei primi tasselli della ricerca esistenzialista al cuore dell'opera di un autore così sensibile al trascendentale da averne addirittura scritto un libro.

 

[L'applauso tributato dal pubblico a Paul Schrader e al cast di Oh, Canada al termine dell'anteprima mondiale del film al 77° Festival di Cannes] 

 

 

Oh, Canada racconta, o meglio, ci fa raccontare la storia di Leonard "Leo" Fife (Richard Gere) dallo stesso uomo, un documentarista statunitense naturalizzato canadese il quale accetta, ormai in punto di morte per un cancro incurabile, di farsi intervistare per un documentario realizzato da Malcolm (Michael Imperioli) e Diana (Victoria Hill), due suoi ex allievi che Fife definisce con non troppo velato disprezzo "i Ken Burns canadesi".

 

L'occasione dell'ultima intervista davanti alla camera diventa per Fife un modo per ripercorrere la propria vita, a partire da quando, giovanissimo e con il volto di Jacob Elordi, decise di lasciare gli Stati Uniti per evitare l'arruolamento in Vietnam, ma soprattutto per confessare all'adorata moglie Emma (Uma Thurman) la propria incapacità di amare.

 

Stanco e malato, Fife traccia un mosaico di ricordi disordinato a e tratti incongruente, un flusso di coscienza mirato a un'ultima e insperata redenzione personale.

 

 

[Jacob Elordi interpreta Richard Gere da giovane in Oh, Canada di Paul Schrader]

 

 

Oh, Canada si inserisce a pieno titolo nell'ultima fase dell'opera di Schrader, quella iniziata nel 2017 con First Reformed e continuata con Il collezionista di carte e Il maestro giardiniere, in cui l'autore ha visto abbracciare con rigore formale le proprie radici calviniste e le influenze bressoniane in una serie di ritratti di uomini alla ricerca di redenzione ed espiazione per un passato fatto di più ombre che luci.

 

Il regista e sceneggiatore adatta per lo schermo il romanzo I tradimenti (Foregone) di Russell Banks, scrittore recentemente scomparso al quale il film è dedicato, che aveva già fornito l'ispirazione per Il dolce domani di Atom Egoyan e, soprattutto, per Afflizione, realizzato dallo stesso Schrader nel 1997. 

Schrader non cambia il titolo in Oh, Canada a caso, anzi: nel film il Paese nordamericano rappresenta più che una meta fisica un approdo spirituale, una idealizzata casa dell'anima da cui fuggire dai propri impegni, quindi da sé stessi.

 

Fife sceglie il Canada per sfuggire all'incubo del Vietnam, protagonista sullo sfondo di altri film scritti o diretti dall'autore (Rolling Thunder, Taxi Driver), ma anche per scappare dalle responsabilità di crescere una famiglia e di condurre un'azienda; eterno fuggitivo e, quindi, eternamente insoddisfatto, Fife vive una vita al confine di quella realizzazione personale che lo elude, a differenza di quella professionale.

 

Schrader mette in scena i ricordi frammentati di Fife alternando presente e passato, spesso mischiandoli insieme, alternando tra colore e bianco e nero, tra il formato Academy dell'intervista e quello panoramico dei ricordi e va elogiato in particolare il lavoro del direttore della fotografia Andrew Wonder.

 

La discrepanza tra la realtà narrata e quella rivelata dalla telecamera è uno dei temi portanti di Oh, Canada, conciliato narrativamente nell'invenzione di un dispostitivo-confessionale messo a punto da Fife, che costringe l'interrogato a guardare in macchina per poter mantenere il contatto visivo con l'interlocutore.

 

Il collegamento con i tre film precedenti si può ritrovare anche nell'utilizzo di immagini d'archivio, qui presentate come se fossero il lavoro di Fife e che permettono di gettare un occhio su quello che, all'interno della narrazione, è stato il percorso artistico del documentarista, autore di un Cinema impegnato e di denuncia mentre servono a Schrader per mostrare, ancora una volta, il cuore di tenebra del mondo in cui tutti noi siamo gettati, per usare un termine caro al filosofo Martin Heidegger.

 

Grande spazio è dato alle donne della vita di Fife, dongiovanni non per vocazione ma appunto per irresponsabilità e mancanza di completezza; egli cerca l'amore, lo accarezza ma lo abbandona ogni volta, impegnato com'è a scappare, a girare il volante all'ennesimo incrocio.

 

 

[La donna come grazia: Uma Thurman arricchisce la galleria di ritratti femminili di Paul Schrader in Oh, Canada]

 

 

La Emma di Uma Thurman rappresenta in Oh, Canada la grazia terrena, come in tanti altri film di Schrader influenzati dal Diario di un ladro di Robert Bresson, quell'amore incrollabile che rappresenta l'ultimo appiglio di salvezza per uomini che si percepiscono come dannati; l'attrice è l'unico membro del cast a interpretare un doppio ruolo, in quanto nel passato di Fife incarna la moglie di un amico con cui l'uomo ha un breve ma intenso rapporto.

 

Richard Gere regala in Oh, Canada una delle sue migliori interpretazioni ed è interessante fare il paragone con American Gigolo: in entrambi i film, infatti, il divo viene emasculato da Schrader con modalità diverse, esponendone le fragilità personali nel film del 1980 e cancellando la sua aura hollywoodiana nella rappresentazione della miseria del cancro in Oh, Canada.

Non meno bravo a mio avviso Jacob Elordi, uno degli attori lanciati da Euphoria (in concorso a Cannes anche Hunter Schafer in Kinds of Kindness di Lanthimos), col quale si possono fare paragoni con quello che fu Gere negli anni '80: bello e dannato, ma capace di lasciar trasparire fragilità da ogni movenza, rivelando sotto alla maschera della mascolinità uno spirito in costante ricerca di un appiglio.

 

Oh, Canada è l'equivalente cinematografico di una calda ballad acustica, un viaggio nella memoria di un uomo che cercando di fuggire dall'America ne rivela il cuore nero e vi ci si specchia.

 

Un viaggio dello spirito che conferma lo stato di forma del 77enne Paul Schrader e che conferma che l'età è solo un opinione quando si fa un Cinema grande, che fa bene all'anima.

 

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