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20 marzo 1989, Montréal: nasce Xavier Dolan, suo padre è un attore e cantante canadese di origini egiziane, sua madre è un'insegnante franco-canadese ebrea.
È appropriato partire da questa manciata di informazioni biografiche per questa breve disamina: Xavier Dolan appartiene alla Generazione Y, ovvero è un millennial, come si definiscono i nati dal 1981 al 1996.
Questi limiti possono essere malleabili - è impensabile credere che non siano influenzati dalla provenienza geografica o dal ceto sociale di appartenenza del singolo - ma ciò che è certo è che il regista canadese appartiene appieno alla sua era, nato nel periodo giusto per esimersi sia dalle influenze della Generazione X (1965-1980) sia della Generazione Z (1997-2010).
A differenza dei nati nei primi anni '80 e nella metà degli anni '90 infuenzati dalle generazioni precedenti e successive, in un range di autori che possiamo inquadrare per analogia partire da Céline Sciamma (1980) a Emma Seligman (1995), Xavier Dolan è inquadrabile appieno nella categoria "millennial".
[Xavier Dolan testimonial di Louis Vuitton]
Sarebbe alquanto sminuente ridurre un autore alla sua data di nascita e inquadrarlo in una distinzione che ha a che fare più con il marketing che con una scienza esatta.
D'altro canto la produzione artistica di Xavier Dolan è emblema di una sequenza di caratteristiche che definiscono proprio questa generazione: identificati come i piccoli cavalieri dell'innovazione tecnologica, i pionieri dell'accesso a Internet in età scolare, luce di speranza del nuovo millennio, martoriati inesorabilmente dagli smottamenti ideologici ed economici del primo decennio degli anni 2000, i millennial operano il primo taglio con le generazioni precedenti, ma ne sono ancora in parte soggiogati.
La ricerca di identità e di affermazione dell'io si accavallano ai gender studies, al femminismo della terza ondata, alle conseguenze della caduta delle Torri Gemelle, alla crisi economica del 2008 e al desiderio di possedere una casa e di avere un posto fisso come i loro genitori, figli del boom economico.
Le famiglie multiculturali - come quella di Xavier Dolan - non sono più un unicum, ma lungi dall'essere la norma. Questa nuova umanità a cavallo tra due millenni è prima elogiata e poi martoriata.
Il Cinema con cui crescono i millennial negli anni 2000 e che successivamente riproporranno loro stessi sul grande schermo come autori è qualcosa che non ha precedenti: ogni certezza è destinata a sfaldarsi.
Stanley Kubrick è morto e assieme a lui la sua dissacrante, quasi blasfema, classicità.
[Xavier Dolan e Adele sul set del videoclip di Hello]
Le Torri Gemelle sono cadute. La cinepresa segue la giovane Vicky correre con i capelli scompigliati in una galleria: è Millennium mambo - nomen omen - di Hou Hsiao-hsien e da quella stessa galleria soffia un vento da Oriente.
È un testa a testa tra un Cinema enfatico, testosteronico e al limite del propagandistico e una generazione nuova di autori innamorata del post-modernismo che scalpita per trovare il proprio equilibrio in una realtà che di equilibri non ne sa più nulla.
Nel 2009 muore il re del pop Michael Jackson, Barack Obama è il primo presidente nero degli Stati Uniti e Xavier Dolan debutta alla regia, dopo aver iniziato a recitare ben dieci anni prima, da bambino: tra le sue apparizioni è memorabile il ruolo in Martyrs, lo sconvolgente horror di Pascal Laugier.
Il giovane non ha compiuto neanche 20 anni quando esce J'ai tué ma mère, di cui è regista, sceneggiatore, produttore e attore protagonista; viene subito definito con l'epiteto di enfant prodige.
Xavier Dolan è uno degli enfant prodige che la macchina dell'informazione ha portato alla luce tra i suoi coetanei: basta sfogliare la propria enciclopedia della memoria per individuarne alcuni; di certo i più memorabili sono nel mondo dell'arte e dell'intrattenimento, ma non ne mancano neanche nel campo dell'innovazione tecnologica
Il giovane di Montréal ha indubbiamente un grande talento.
I primi ad accorgersene sono i Cahiers du Cinéma e in particolare Jean-Michael Frondon che, dopo aver assistito al sorprendente esordio di Dolan, scrive di lui: "Ha già conquistato il suo posto fra i cineasti, grazie a un film di sorprendente vivacità nel tono e nella potenza di scrittura, film composto da sincerità autobiografica e da una ricerca formale dosata con abili mani.
Si tratta di un film basato sul senso della parola del personaggio principale, che è anche l’interprete del film stesso".
A partire dal 2009 il rapporto di Xavier Dolan con il Festival del Cinema di Cannes si solidifica: quell'anno con J'ai tué ma mère vince il Premio Art Cinéma, il Premio SACD e il Premio Regards Jeunes, nel 2012 arriva la Queer Palm per Laurence Anyways e il desiderio di una donna..., nel 2014 Mommy gli fa vincere il Premio della giuria - ex-aequo con Jean-Luc Godard - e due anni dopo ottiene il Gran Prix Special della Giuria con È solo la fine del mondo.
[Il trailer di È solo la fine del mondo di Xavier Dolan]
Evito di soffermarmi sui film singoli: questo articolo non ha un obiettivo monografico, ma vorrebbe essere una linea guida per chi non conosce il regista e un focus tematico per chi invece ne ha familiarità; come spesso accade chi scrive lo fa per stabilire un proprio ordine interno e condividerlo con gli altri.
Xavier Dolan nel 2024 compie 35 anni: è tempo di ricostruire luci e ombre della sua prima fase artistica che conta otto lungometraggi: J'ai tué ma mère, Les Amours imaginaires, Laurence Anyways e il desiderio di una donna..., Tom à la ferme, Mommy, È solo la fine del mondo, La mia vita con John F. Donovan e Matthias & Maxime.
A emergere nel ventaglio contenutistico dei film del regista di Montréal, a partire proprio dal suo esordio, è proprio l'intersezione tra la ricerca della propria identità e dell'affermazione dell'io e i rapporti familiari.
L'omosessualità, a discapito delle prime impressioni, non è l'epicentro del cinema di Xavier Dolan o, meglio, non lo è in quanto tale: non perché non sia un tema ampliamente sviscerato, quanto perché si tratta di un riverbero dell'idea dell'affermazione dell'io, in relazione all'orientamento sessuale del regista.
Questo modo di leggere i suoi film rivela l'approccio introspettivo della sua opera legata a doppio filo con il vissuto personale. Si nota una preponderante presenza di figure femminili e materne, in opposizione a una quasi assenza di quelle maschili.
J’ai tué ma mère è incentrato sul rapporto burrascoso tra l'adolescente Hubert e la madre Chantale: l'oscillazione tra conflitto e dipendenza emotiva è anche il perno su cui ruota uno dei suoi ultimi - e più criticati - film, ovvero La mia vita con John F. Donovan.
[Hubert e Chantale in una scena di J’ai tué ma mère, di Xavier Dolan]
In Tom à la ferme e in Laurence Aniways e il desiderio di una donna... il focus non è direttamente sulle questioni familiari, ma in entrambi i lungometraggi le donne della famiglia posseggono il loro peso specifico.
Nel primo il protagonista si avvicina alla famiglia del suo compagno defunto e si relaziona con sua madre e suo fratello, nell'atmosfera acre e spigolosa che riverbera nella loro fattoria, carica della tensioni di verità celate e sentimenti sublimati; sono evidenti anche nell'utilizzo dell'aspect ratio - il rapporto tra base e altezza del fotogramma - che in due scene passa da panoramico a un restringimento, funzionale a esprimere il senso di alienazione e asfissia.
Nel secondo la madre di Laurence è un'algida donna borghese alle prese con un matrimonio tale solo in apparenza, al fianco di un uomo che è sempre stato assente sia come padre sia come marito.
In È solo la fine del mondo il focus si amplia su tutta la famiglia, ma il padre rimane una figura non pervenuta.
Il film di Xavier Dolan più emblematico sul tema è Mommy: il titolo rivela il nucleo del film, ovvero il rapporto intenso e conflittuale tra Steve, adolescente dalla personalità borderline ingestibile perfino dal centro di recupero, e sua madre, vedova di mezza età che sfoga la propria impulsività con l'abuso di fumo, alcol e droghe leggere.
[Il trailer di Mommy, di Xavier Dolan]
In Mommy manca lo status di autorità materna, il loro rapporto è simbiotico e sfocia in dialoghi urlati e sopra le righe riconducibili in parte a un complesso di Edipo irrisolto, tant'è che in più di un’occasione Steve mostra gelosia nei confronti del genitore.
A modificare gli equilibri tra i due interverrà Kyla, una seconda figura femminile adulta.
L'aspect ratio non è utilizzato solo a scopo estetico ma è parte del segnificante; in Mommy il regista utilizza uno schema visivo 1:1, caratterizzato da un'immagine più stretta rispetto ai formati panoramici e 4:3 dei film precedenti.
Questa scelta conferisce ai fotogrammi un'atmosfera ritrattistica dei personaggi.
Il formato si allarga in due scene: la prima volta quando il protagonista Steve sperimenta una sensazione di libertà; la seconda invece quando Diane sogna a occhi aperti un futuro sereno per suo figlio, ma questo rimane un sogno irrealizzabile e non appena si rende conto di ciò, lo schermo ritorna al formato originale.
Nel 2014 i Cahiers su Cinéma dedicano la copertina e un lungo approfondimento a Mommy in occasione dell'uscita nelle sale francesi.
In Matthias & Maxime uno dei due protagonisti ha deciso di cercare fortuna in Australia, a seguito un’infanzia difficile a causa della madre tossicodipendente e alcolizzata.
In un'intervista a Ciak Magazine a proposito Xavier Dolan ha dichiarato che raccontare del rapporto madre figlio era inevitabile, perché "Sono cresciuto in un ambiente femminile.
Mio padre era spesso assente. I miei divorziarono quando avevo due anni e mia madre si trasferì nella periferia più profonda, la stessa dove ho girato Mommy.
Lei lavorava e io sono stato molto con mia nonna e con una prozia, in campagna a oltre tre ore da Montréal. Queste donne hanno di certo condizionato la mia ispirazione artistica.
Le ho potute osservare mentre lottavano per la propria condizione sociale, il lavoro, la famiglia. Gli uomini non li vedevo.
Per questo le figure paterne sono assenti nelle mie storie".
[Il trailer di Matthias & Maxime, di Xavier Dolan]
Le relazioni amorose, seppur sempre presenti, rappresentano il fulcro della storia solo in Laurence Anyways e il desiderio di una donna....
In questo film infatti il protagonista è un docente di letteratura che vive una vita all'apparenza serena: il suo primo libro di poesie sta per essere premiato e convive con una donna indipendente di nome Fred di cui è molto innamorato.
Ha vissuto nella menzogna per trentacinque anni e ha intenzione di rimediare: si è infatti sempre sentito una donna e non può più nasconderlo.
Xavier Dolan - che all'epoca aveva solo 22 anni - mostra un nuovo livello di inconciliabilità tragica: non sono la differenza tra classi sociali o le discriminazioni razziali a rendere l'amore impossibile, ma la scoperta di sé e della propria identità di genere.
[Laurence e Fred in una scena di Laurence Anyways, di Xavier Dolan]
Pur confrontandosi con la propria incertezza e paura Fred si sforza di sostenere Laurence in questa trasformazione.
Nelle altre opere le relazioni amorose sono sempre soggiogate alla ricerca di identità, un passo obbligato per il percorso di crescita; la sessualità è autoriferita e ossessiva - come in Les Amours imaginaires - o sublimata e corroborante - come in Tom à la ferme.
Dove c'è sesso c'è sempre anche un sentore di morte: il Cinema di Xavier Dolan non è esente dallo svisceramento della dicotomia tra Eros e Thanatos.
In una prima stesura della sceneggiatura di Laurence anyways e il desiderio di una donna... del resto l'autore aveva ipotizzato di concludere il film con il suicidio di Laurence, ma ha ritenuto potesse essere offensivo per la comunità transessuale.
J’ai tué ma mère contiene nel titolo la parola “uccidere”: la rinascita di Hubert dipende dalla morte metaforica di sua madre; in Tom à la ferme tutti i rapporti sono soggiogati dal triste lutto, motore degli eventi a seguire.
[Xavier Dolan è anche l'attore protagonista di Tom à la ferme]
In È solo la fine del mondo il tema della morte compare senza filtri.
Louis torna a casa per comunicare alla famiglia della sua morte imminente, ma neanche il presagio della fine riesce a sciogliere del tutto anni di tensioni familiari sopite.
In Mommy Steve corre per riappropriarsi della propria libertà e, si può supporre, l'atto autodistruttivo per eccellenza: morte è libertà.
Il suicidio non è esplicitato, ma il brano extradiegetico utilizzato lo lascia presupporre: la canzone Born to Die di Lana Del Rey riecheggia come un ultimo urlo di emancipazione.
[La scena finale di Mommy]
Si può approfittare di questo accenno all'utilizzo della canzone della cantautrice newyorkese per introdurre una delle caratteristiche più evidenti del Cinema di Xavier Dolan: la musica.
La musica di Noir Désir del gruppo electropop dei Vive la Fête accompagna la scena in cui Hubert, appena tornato dal collegio, fa sesso con Antonin con cui fa action painting in J'ai tue ma mere; in questo momento di fugace libertà la voce canta: "Je ne peux pas me calmer" (non posso calmarmi).
In Les Amours imaginaires per esempio ascoltiamo Bang Bang di Dalida ogni volta che i due protagonisti si dirigono verso l’oggetto del loro desiderio e ascoltiamo la Suite per violoncello solo n° 1 di Johann Sebastian Bach durante le scene di sesso.
[Il triangolo amoroso de Les Amours imaginaires, di Xavier Dolan]
Laurence Anyways e il desiderio di una donna... presenta una selezione musicale molto vasta di brani anni '80-'90, in cui il film è ambientato.
In particolare nei primi film non mancano scene sulla pista da ballo e un gusto accentuato per l'electropop, come brani dei Crystal Castles e The Knife.
Per È solo la fine del mondo Xavier Dolan si affida a Gabriel Yared per la composizione della colonna sonora originale, ma non si esime dal fare uso di una ricca proposta di brani esistenti, ripescando persino la popolarissima - e kitschissima - Dragostea din tei, hit del 2004 di Haiducii.
Xavier Dolan non ha paura di sporcarsi le mani con il trash, il televisivo, l'estetica da videoclip e da pubblicità: l'utilizzo della musica è parallela a quella del colore, la raffinatezza e la volgarità esistono nello stesso spazio e la cultura pop viene sfruttata nella sua carica emozionale.
Di nuovo non si può non citare Mommy: Xavier Dolan ha selezionato per questo film una colonna sonora molto ricca e di grande impatto.
La tracklist della colonna sonora di Mommy, che si avvale anche delle composizioni originali di Eduardo Noya, è composta da poco più di una decina di tracce che vanno da Experience (In a time lapse) di Ludovico Einaudi a White Flag di Dido, da L'estate da Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi a Blue (Da Ba Dee) degli Eiffel 65, da On ne change pas di Céline Dion a Wonderwall degli Oasis.
"We could have had it all" canta Adele in Rolling in the deep: è il verso con cui si apre la prima scena di La mia vita con John F. Donovan.
[Il trailer di La mia vita con John F. Donovan, di Xavier Dolan]
Sono gli anni '90 e gli anni 2000 a padroneggiare le soundtrack scelte da Xavier Dolan, secondo cui "La musica arriva prima del film" e "Tutto è musica: il dialogo, i rumori, i silenzi".
La particolarità del Cinema del neo-trentacinquenne di Montréal sta proprio nella parziale ignoranza del suo autore, un ragazzo che ha lasciato la scuola a diciassette anni, che ha letto quasi per caso un libro di sceneggiatura, non ha frequentato scuole di Cinema, ma ha visto Titanic a otto anni pensando che anche lui un giorno avrebbe potuto girare un film e ha una venerazione per In the mood for love di Wong Kar-wai.
Di certo non ho intenzione di elogiare la mancanza di basi tecniche o dire che chiunque può essere Xavier Dolan; d'altro canto - per tornare al punto di partenza - l'autore rappresenta appieno il tritacarne emozionale a culturale a cui è stata sottoposta la sua generazione: la cultura alta che si interfaccia con il mondo del pop nell'anarchia digitale e la riappropriazione del kitsch, soprattutto musicale.
Anche la discesa - citata per ora solo nel titolo di questo articolo - si può ascrivere a una parabola della Bibbia Y2K.
Xavier Dolan - come tanti enfant prodige suoi coetanei - affronta l'età adulta come un angelo caduto da un paradiso a cui sembrava essere destinato, complici anche i parziali fallimenti de La mia vita con John F. Donovan - un'altra vittima della prova hollywoodiana - e Matthias & Maxime.
"Non ho più la forza o la voglia di impegnarmi per due anni in progetti che nessuno vede", ha detto Xavier Dolan al giornale spagnolo El Pais, "Ci metto tantissima passione e poi ne esco profondamente deluso.
So di essere un bravo regista, ma tutto questo mi porta a credere che non sia così".
Non c'è nulla che sia più Generazione Y dei chiarimenti tramite post su Instagram e della scelta di sacrificare la competitività e l'ambizione a favore della tutela della salute mentale e di uno stile di vita meno soggiogato dalle dinamiche di mercato.
"Non ho bisogno di fare altri film, sono stanco.
Ne ho girati tanti e mi sembrano abbastanza. Non voglio dover affrontare ancora tutto il processo di post-produzione, press tour, viaggi, rispondere alle domande, chiedermi se le persone andranno a vedere i miei lavori, se saranno venduti in questo o quel territorio.
Non voglio più avere a che fare con l’ansia da palcoscenico, di avere successo e di essere amato.
Non voglio più dipendere dalle reazioni di altri: voglio essere libero".
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