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Qualcuno volò sul nido del cuculo di Miloš Forman usciva nella sale cinematografiche italiane il 18 marzo 1976 e l'anno prima negli Stati Uniti, ricevendo fin da subito un'accoglienza positiva di pubblico e critica.
Basta scorrere i nomi del cast per intuirne uno dei motivi: dal protagonista Jack Nicholson a Louise Fletcher, e poi Will Sampson, Christopher Lloyd, Danny DeVito, Brad Dourif e Sydney Lassick.
Tratto dal romanzo omonimo di Ken Kesey pubblicato nel 1962 e tradotto in italiano nel 1976 da Rizzoli, è uno dei soli tre film nella Storia del Cinema ad aver vinto alla cerimonia dei Premi Oscar i cosiddetti "Big Five": Miglior Film, Migliore Regia, Migliore Attore Protagonista, Migliore Attrice Protagonista e Migliore Sceneggiatura.
[Il trailer ufficiale di Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Jack Nicholson è Randle McMurphy, detenuto in carcere con l'accusa di aver violentato una minorenne e ora trasferito dalle autorità giudiziarie in un ospedale psichiatrico, posto sotto l'osservazione degli operatori sanitari che devono decidere se il suo comportamento criminale dipenda da una malattia mentale o da un'indole irrequieta, ma sana.
Viene dunque assegnato al reparto gestito dall'infermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher), professionista algida e intransigente; lì incontra i degenti, pazienti con disturbi psichiatrici diagnosticati.
Il titolo originale del film è One Flew Over the Cuckoo's Nest, un gioco di parole tipico dello slang statunitense dove "cuckoo" significa "cuculo", ma anche "pazzo", dunque "cuckoo's nest" è il "nido dei pazzi", cioè il "manicomio". Inoltre il cuculo in natura non costruisce nidi propri, ma depone le uova in quelli degli altri lasciando che i figli vengano adottati dagli altri uccelli.
Il nido del cuculo vero e proprio perciò non esiste: qualcuno - il protagonista - vola in un nido estraneo dove abitano figli illegittimi, abbandonati a loro stessi.
Il libro prima e il film poi fondano la narrazione su una conoscenza diretta delle condizioni degli ospedali psichiatrici dell'epoca. Lo scrittore Kesey, infatti, nel 1959 prese volontariamente parte a uno studio dell'Università di Stanford sulle sostanze psicoattive finanziato dalla CIA, noto con il nome di MKULTRA. Kesey scrisse resoconti molto dettagliati su questa esperienza e il suo ruolo di "cavia" nell'ospedale dei veterani di Menlo Park, California, lo ispirò nel redigere il romanzo.
Lo scrittore trascorse molto tempo a parlare con i pazienti, a volte sotto l'effetto delle droghe psicoattive che aveva volontariamente deciso di testare: secondo lui i pazienti non dovevano essere ritenuti "pazzi", bensì individui rifiutati dalla società perché non conformi agli stereotipi convenzionali di comportamento e pensiero.
Kesey, inizialmente coinvolto nella lavorazione di Qualcuno volò sul nido del cuculo, decise nel giro di poco tempo di non prendere parte alla realizzazione a causa di dissidi economici, rinnegando la sua approvazione e rifiutando di vedere il film una volta ultimato.
[L'arrivo di Randle McMurphy (Jack Nicholson) nell'ospedale psichiatrico in Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Quando Kirk Douglas acquistò i diritti cinematografici di Qualcuno volò sul nido del cuculo cercò per anni di convincere i produttori a finanziare il progetto, in cui voleva recitare come protagonista.
Alla fine però cedette il testimone al figlio Michael, che trovò le risorse finanziarie necessarie e arruolò Miloš Forman alla regia, convincendo il padre ad affidare il ruolo principale a un attore più giovane.
Durante le riprese il cast ha lavorato a stretto contatto con i pazienti veri dell'Oregon State Mental Hospital: ogni attore era affiancato da almeno due o tre persone con disturbi mentali, alcune delle quali sono presenti nel film come comparse.
Il regista stesso ha trascorso un mese nella struttura sanitaria per osservare l'ambiente, studiare gli spazi e capirne le dinamiche.
La maggior parte di Qualcuno volò sul nido del cuculo si svolge all'interno dell'ospedale psichiatrico, non solo per rimarcare la condizione di isolamento dei pazienti rispetto alla società che nel frattempo scorre fuori da quelle mura, ma anche per mettere in scena un microcosmo che riproduce fedelmente le dinamiche che contraddistinguono sempre gli esseri umani quando sono parte di un gruppo: il sospetto, la sopraffazione, l'abuso di potere e poi l'alleanza, la fiducia, l'empatia.
Nonostante McMurphy sappia di essere sotto la lente di ingrandimento dei sanitari che possono disporre del suo futuro, fin dal suo arrivo mette in atto un comportamento anticonformista, trasgredendo alle regole che disciplinano la vita dei pazienti, ritmata da tempistiche che si ripetono uguali ogni giorno, dal momento della consegna degli psicofarmaci fino alla terapia di gruppo.
Tempistiche utili, secondo i responsabili del reparto, a creare una routine rassicurante per la psiche altalenante dei pazienti.
[I pazienti dell'ospedale psichiatrico ricevono le medicine giornaliere in Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
L'irriverenza di McMurphy però rompe l'equilibrio finendo per rivelarne la vera natura, ovvero un tentativo da parte dei sanitari di appiattire le identità di ognuno, mettendo a tacere gli effetti che nuovi stimoli avrebbero potuto avere sulla percezione di sé e della propria malattia.
La prevedibilità delle azioni quotidiane banalizza il tempo e lo spazio a disposizione, riducendolo a una sopravvivenza anestetizzata.
La gamma umana che Qualcuno volò sul nido del cuculo offre allo spettatore è molto accurata: Brad Dourif è Billy Bibit, un giovane ragazzo timido e balbuziente, con un disturbo del comportamento suicidario e gravi stati di ansia e depressione riconducibili alla morbosità patologica che contraddistingue il rapporto con la madre, una sorta di Super-io giudicante che annichilisce ogni possibilità d'azione indipendente.
Danny DeVito è Martini, un entusiasta il cui disturbo ossessivo-compulsivo rende difficile comunicare con gli altri, in una serie infinita di formule ripetitive che ritualizzano il suo stare nel mondo; Christopher Lloyd è Taber, con nevrosi e scatti d'ira che sovrastano l'interlocutore.
Ognuno di loro ricopre un ruolo specifico nell'andamento del gruppo, nutrendo o affamando di volta in volta l'umore degli altri.
La potenza di Qualcuno volò sul nido del cuculo risiede proprio nella sua coralità, nella pluralità di voci che squarciano pezzi di realtà, senza la necessità dell'azione.
È sufficiente il solo uso del dialogo, infatti, per mostrare gli effetti del "fuori": il botta e risposta tra i pazienti, in particolare durante la terapia di gruppo quotidiana in cui, a turno, ognuno racconta come si sente e come andassero le relazioni prima del ricovero, diventa uno spaccato mimetico del flusso esistenziale.
Nella tensione delle parole che rimbalzano da un paziente all'altro, spesso prive di un senso logico compiuto, emerge tutta la verità umana, come se si vedesse accadere il pensiero.
C'è la frustrazione per l'incapacità di reggere le pressioni sociali, c'è il giudizio sulla proprià identità sessuale, c'è la vergogna, il disagio, l'inadeguatezza, la profonda paura di non sapersi autodeterminare.
[Qualcuno volò sul nido del cuculo: il momento della terapia di gruppo con gli infermieri nel reparto psichiatrico]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Uno tra i primi pazienti con cui McMurphy sente una consonanza speciale è Bromden (Will Sampson), un nativo americano dalla corporatura imponente, costantemente intento a pulire lo spazio comune con una scopa che tiene tra le mani come una coperta di Linus.
Quando McMurphy gli si avvicina con il suo solito fare irriverente, pronto a prenderlo in giro imitando una danza tribale, scopre che è sordomuto.
Nonostante la mancata interazione verbale "Grande Capo", come subito lo soprannomina, diventa per lui un punto di riferimento, un complice di intenti: l'interpretazione dell'attore Will Sampson è estremamente raffinata nella mimica e nelle movenze tanto che, al netto di una stazza importante, riesce a conferire al personaggio una dolcezza commovente.
"Grande Capo" rappresenta una figura di mezzo tra il modo di vivere "normale" - nell'accezione neutra di "secondo la norma" - e quello considerato "pazzo", relegato al di fuori dagli schemi del conformismo.
È attento e lucido rispetto a tutto quello che succede nell'ospedale, ne ha consapevolezza eppure non si espone, preferendo la via dell'isolamento autoindotto, un silenzio che - scopriremo nella seconda parte del film - è del tutto volontario.
Fingere di non poter parlare né ascoltare sembra essere una scelta geniale per evitare costrizioni ma, a ben vedere, è soprattutto il risultato di una fragilità lancinante, il principio di una incomunicabilità che si fa sostanza.
["Grande Capo" Bromden (Will Sampson) in una scena di Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Il trattamento medico dei pazienti è affidato all'infermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher), forse uno dei personaggi più feroci mai scritti nella cinematografia di tutti i tempi.
Ratched obbliga il reparto a una disciplina ferrea, reprimendo ogni possibilità di ribellione: dall'orario per guardare la televisione fino all'ascolto di un vinile di musica classica che pervade e invade a tutto volume gli spazi, nessuna regola può essere cambiata.
I limiti imposti diventano una gabbia che, giorno dopo giorno, sottrae sempre più terreno di libertà.
In Qualcuno volò sul nido del cuculo Ratched rappresenta il potere e le sue storture: l'asimmetria di posizione tra lei e i pazienti sfocia in un atteggiamento manipolatorio, tra ricatti emotivi e abusi psicologici continui, derivati dal "privilegio" di conoscere le diagnosi dei pazienti e, di conseguenza, i loro nervi più scoperti.
Ratched non si fa scrupoli, è priva di empatia o indulgenza, addirittura di una coscienza rispetto al danno che l'uso spregiudicato delle informazioni in suo possesso può avere sulla psiche dei pazienti.
L'esercizio del controllo diventa predominante rispetto all'obiettivo di cura, o meglio si sovrappone a esso, perché la concezione del lavoro a cui è devota coincide con l'idea di uno stordimento dei pazienti più irrequieti come soluzione per il loro benessere psicofisico.
[L'nfermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher) in Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Qualcuno volò sul nido del cuculo, infatti, sintetizza il modus operandi che lo Stato metteva in atto nella seconda metà degli anni '70 rispetto ai soggetti con disturbi mentali.
Nel 1967 Ronald Reagan, appena eletto governatore della California, primo passo per poi diventare presidente degli Stati Uniti nel 1981, promulga il Lanterman-Petris-Short (LPS) Act con cui rende praticamente impossibile il ricovero coatto in un ospedale psichiatrico di una persona che sembri manifestare disturbi mentali, salvo casi eccezionali.
Il soggetto che manifesta alterazioni psicologiche evidenti può essere detenuto in un carcere psichiatrico se compie atti inconsulti, ma solo in quanto criminale e non in veste di paziente.
Nel corso del film, infatti, si scopre che quasi tutti i degenti - a eccezione di McMurphy - hanno deciso di ricoverarsi volontariamente.
Reagan è legato a una cultura imprenditoriale pragmatica e liberale secondo cui non c’è ragione di investire tempo e risorse per un soggetto "improduttivo" e "inadatto" evolutivamente alla vita socialmente intesa: l’obiettivo dichiarato è quello di ridurre al massimo l'assistenza dei soggetti psichiatrici dai costi della sanità pubblica.
In parallelo, ma con ideali opposti dal punto di vista etico, una decina di anni dopo in Italia per la prima volta al mondo viene approvata la cosiddetta Legge Basaglia 180/1978 che abolisce i "manicomi".
Sulla base di dati scientifico-clinico-umanitari, lo psichiatra Franco Basaglia, promotore della riforma, rifiuta i criteri di valutazione che fino a quel momento decretavano un soggetto come "pazzo".
Con l’avanzare del Novecento, infatti, gli ospedali psichiatrici italiani avevano visto crescere a dismisura il numero dei ricoverati, per lo più provenienti dagli strati più poveri ed emarginati della popolazione, al di là di ogni ragionevole valutazione patologica; secondo Basaglia ciò che viene etichettato come malattia mentale in larga parte non esiste, ma va considerato come un mito stigmatizzante ed emarginante, privo di riscontri scientifici oggettivi che siano basati sull’evidenza.
Sulla scorta anche della nuova cultura rivoluzionaria del '68, Basaglia porta avanti una prospettiva illuminata dell'attività medica che si discosta dalla parte più retriva della psichiatria che costruiva la malattia mentale come un artificio ideologico su cui il potere organizzava sistemi di sorveglianza, di censura e di punizione per tenere sotto controllo tutti quei pensieri e quei comportamenti che si proponevano come alternativi rispetto all’ordine costituito.
I "manicomi" erano infatti spesso trasformati in luoghi di detenzione che somigliavano a carceri fatiscenti in cui venivano utilizzati trattamenti brutali e scientificamente discutibili, come lobotomie, elettroshock, camicie di forza, letti di contenizione, profusione quasi incontrollata di psicofarmaci.
Qualcuno volò sul nido del cuculo si inserisce dunque in questa fase di transizione in cui i metodi sanitari restano ancora figli di una tradizione psichiatrica violenta.
Anche McMurphy perciò, quando raggiunge il picco di ribellione, viene sottoposto all'elettroshock, la tecnica terapeutica usata in neurologia e psichiatria basata sull'induzione di convulsioni nel paziente mediante passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello.
[Randle McMurphy (Jack Nicholson) riceve l'elettroshock in Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
La tenacia di McMurphy, il suo istinto alla vita, resiste nonostante tutto.
La narrazione di Qualcuno volò sul nido del cuculo - e qui emerge in modo chiaro l'intelligenza brillante del regista Miloš Forman - non trasforma però il suo coraggio in un merito: la sua condizione di lucidità rispetto agli altri non deriva da una superiorità morale che avrebbe rischiato di ridicolizzare le fragilità che invece impediscono ai pazienti di prendere in mano la propria esistenza fuori dall'ospedale.
McMurphy resiste - almeno per gran parte del tempo - semplicemente perché a differenza degli altri non ha nessun disturbo mentale e perché, di nascosto, non ingerisce gli psicofarmaci.
Progetta quindi un piano di fuga per evadere dall'ospedale e vivere una vita clandestina - lui è pur sempre un condannato - ma dignitosa.
Per realizzare il piano McMurphy introduce di nascosto nella struttura due sue amiche prostitute che non solo fanno ubriacare la guardia in turno di notte, ma fanno anche divertire tutti i pazienti.
Quando però McMurphy ha la possibilità concreta di scappare, indugia e osserva quelli che sono diventati ormai suoi amici; prova a convincerli ad andare con lui, a non avere più paura di realizzare se stessi dentro la società.
Si rivolge in particolare al giovane Billy, attratto da una della due ragazze, Candy (Marya Small), ma paralizzato dall'incubo di non essere all'altezza; spinto dai compagni però Billy si decide ad appartarsi con lei per dare ascolto finalmente al suo desiderio affettivo.
Il rapporto sessuale si carica qui di un significato simbolico, un rito liberatorio che rompe le catene d'acciaio costruite dalla malattia mentale, una riapproprazione del sé più autentico che asseconda l'impulso fisico come accesso verso una stanza interiore dove siedono i sentimenti più umani, fino a quel momento chiusa a doppia mandata.
[Candy (Marya Small) e Billy Bibit (Brad Dourif ) in Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Billy però non può certo guarire all'improvviso dopo un solo momento di riappacificazione con il suo Io, soprattutto se non aiutato da una giusta terapia medica e psicologica.
La mattina seguente, infatti, quando l'infermiera Ratched scopre quello che è successo, Billy subisce da lei l'ennesimo atto ricattatorio espresso dalla minaccia di raccontare tutto alla madre.
Billy entra nel panico e, incapace di gestire un terrore così enorme, si suicida.
McMurphy, che nel frattempo non era riuscito a portare a termine il suo piano di fuga, di fronte all'evidente responsabilità di Ratched reagisce violentemente e tenta di strangolarla, ma viene fermato da un inserviente: di fronte a quest'ultimo episodio la commissione medica si convince definitivamente che McMurphy sia un malato pericoloso e che questa sua aggressività vada curata con una lobotomia.
McMurphy è ormai completamente stordito, privato della possibilità di esercitare il suo libero arbitrio.
A fronte di una condizione così lontana dalla sua natura vivida e anticonformista, "Grande Capo" Bromden ritiene che non sia rispettoso lasciarlo vivere - sopravvivere - in quello stato e decide quindi di ucciderlo soffocandolo con un cuscino, per poi strappare da terra un pesante lavabo di marmo, scagliarlo contro la finestra e fuggire via, come a realizzare per interposta persona il sogno di McMurphy.
[La fuga di "Grande Capo" Bromden (Will Sampson) dall'ospedale in Qualcuno volò sul nido del cuculo]
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Qualcuno volò sul nido del cuculo è ancora oggi un film validissimo per ragionare di salute mentale, soprattutto in un momento storico come quello di oggi in cui il dibattito sul tema è sempre più presente.
La mancanza di una risposta adeguata da parte delle istituzioni politiche a una richiesta - spesso anche volontaria e disperata, come nel film - di assistenza sanitaria per i disturbi mentali rivela lo stigma che ancora ruota attorno alla questione; l'invisibilizzazione dei pazienti psichiatrici, nella doppia accezione di malattia mentale uguale malattia invisibile e quindi più difficile da validare, e di marginalizzazione di coloro che vivono con un malattia mentale a cui la società preferisce non guardare, è ancora un problema imponente.
Così come lo è la poca attenzione verso il rispetto del principio costituzionale che prevede il carcere come luogo riabilitativo e non punitivo, funzionale al reinserimento del detenuto nella società una volta scontata la pena, un luogo dove provare a dare nuova forma alla propria coscienza e non dove sentirsi annientato e de-umanizzato.
In Qualcuno volò sul nido del cuculo Jack Nicholson regala un'interpretazione magistrale che ha reso il suo personaggio oggetto di culto, incarnando le idee di ribellione tra la Beat Generation e la cultura hippie degli anni ’60, dove lo spazio del potere di sistema viene occupato dalla voce di libertà degli outsider.
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