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A chi scrive di Cinema capita spesso di trovarsi di fronte al dilemma delle definizioni. Nel cercare di inquadrare un Cinema come quello di Alice Rohrwacher si avverte allora la necessità di pensarlo come una pietra preziosa e descriverlo perciò a partire dalla sua rarità e dal suo inestimabile valore.
Si afferma allora che lo sguardo della regista sia nient'altro che un tesoro nascosto, offerto allo spettatore tramite un graduale svelamento per stimolare quel piacere ancestrale insito nella voglia di raggiungere l'irraggiungibile.
Con La chimera sembra comporsi finalmente l'essenza vera e propria della sua intera opera e i motivi per cui essa, nonostante i suoi occasionali cedimenti, rimanga ancora oggi così affascinante agli occhi di pubblico e critica.
[Il trailer ufficiale de La chimera]
L'ultimo film di Alice Rohrwacher, oltre a confermare l'unicità della sua voce all'interno del panorama contemporaneo italiano e internazionale e a convalidare, con maggiore convinzione, il suo statuto di regista e autrice affermata, ci parla di un Cinema che è la commistione rarefatta e esteticamente strutturata dell'antitesi.
Rorhwacher dunque ci suggerisce di cambiare prospettiva (e sulla prospettiva gioca molto ne La chimera): è il suo Cinema a essere prima di tutto una chimera, un mostro moderno della visione, cioè il risultato di quelle persistenti contrapposizioni tematiche, artistiche, antropologiche e socio-politiche che caratterizzano la sua poetica.
Tornano dunque ne La chimera, forse più intense che mai, le dicotomie tipiche del suo realismo sociale magico, nato nel contesto del breve formato e sviluppato in soli tre precedenti lungometraggi.
La rappresentazione dissonante dei luoghi, la strutturazione dei personaggi in quanto prodotti di una serie di coordinate economiche, politiche e sociali, la centralità del quotidiano e delle condizioni di vita più misere, lo sfruttamento e la condizione di sfruttato, l'elemento surreale, la magia e il misticismo, il dato autobiografico della vita rurale.
Torna soprattutto ne La chimera la sospensione temporale della storia, scaturita da una narrazione che è più che altro evocazione e dunque dalla volontà di trascendere il reale lasciando che intimo e sociale si compenetrino liberamente.
Quelli di Alice Rohrwacher sono spazi fermi nel tempo in cui sembra impossibile sottrarsi alla scelta di vivere all'interno della società o starne per sempre al di fuori, perciò scegliere se aderire ai privilegi consumistici della modernità oppure abbracciare una libertà personale confortante, decretando tuttavia la propria morte sociale.
È in questa tragicamente viva contrapposizione che si materializza la riflessione sul conflitto tra passato e presente, perché scegliere di appartenere alla campagna significa tentare di conservare la memoria di un passato, il valore di una tradizione, pur di mantenere intatta la propria autenticità.
[Alice Rohrwacher e Josh O'Connor sul set de La chimera]
Su questi passi si muovono le premesse de La chimera, una storia di archeologia mistica con protagonista un giovane "inglese" (o irlandese?) che ha il dono, proprio come un rabdomante con la sua bacchetta biforcuta, di percepire il vuoto del sotterraneo.
Il film infatti inizia con un ritorno: ancora con l'odore di carcere addosso, Arthur (Josh O'Connor) sta tornando in una cittadina sul Tirreno dopo essere stato arrestato per aver commesso abusivamente scavi archeologici e aver commerciato clandestinamente reperti di interesse per il patrimonio culturale italiano.
Ad aspettarlo c'è la sua banda, un gruppo sgangherato di tombaroli intenzionati a riprendere la propizia collaborazione con lui per continuare a trovare e vendere vasi, oggetti e sculture appartenenti a corredi funebri di sepolture sotterranee etrusche.
Attende sentitamente il suo ritorno anche Flora (Isabella Rossellini), la madre di Beniamina (Yile Yara Vianello) - una ragazza sparita da molto tempo con cui Arthur aveva una relazione - insieme alla sua alunna-serva Italia (Carol Duarte), una giovane donna di origine brasiliane che cerca di imparare il canto per prendersi cura di un piccolo segreto.
Da un punto di vista stilistico il film si presenta immediatamente come una chimera e i suoi autori (assieme a Rohrwacher anche Marco Pettenello e Carmela Covino) sono gli scavatori 'abusivi' del Cinema, alla ricerca costante dell'eredità del passato.
Il film si riempie perciò di numerosi spunti e brillanti intuizioni in cui appaiono in modo piuttosto esibito tanto Federico Fellini (il carnevale en travesti) e Pier Paolo Pasolini, quanto il Cinema delle origini e il montaggio per associazioni tipicamente sovietico.
Le immagini si costruiscono su formati diversi di pellicola, mentre la potenza delle visioni di Arthur è sottolineata da un 4:3 sporco e segnato, una sorta di pagina stropicciata della memoria del protagonista.
[La parata en travesti presente ne La chimera]
Josh O'Connor è una creatura impenetrabile e con la sua smodata statura, il suo vestito bianco (sempre più lercio) e il suo italiano raffazzonato, si muove tra gli abitanti del villaggio come un orco cattivo.
All'apparenza eroe mitologico, al suo Arthur manca la candida ingenuità di Lazzaro: è perciò essere impuro, imperfetto, entità mutabile e corruttibile che non si sottrae alle scorrettezze perché permeata dal vuoto di un affetto scomparso per sempre. Così, legato alla sua presumibilmente defunta fidanzata da un filo rosso sfilato per errore dalle maglie del suo abito, Arthur sembra inseguirla di pertugio in pertugio, come Orfeo inseguiva Euridice nell'oscurità degli inferi.
Intorno alla presenza del magnetico O'Connor si realizzano i principali virtuosismi registici, come il reiterato rovesciamento di prospettiva che, oltre ad essere accortezza tecnica ed estetica, è anche e soprattutto invito a una lettura sottosopra della storia.
La prospettiva rovesciata conduce al sottoterra silenzioso, forse rinchiuso nella mancanza assordante di Beniamina, e a tutto quel tesoro che è di tutta l'umanità e contemporaneamente non è di nessuno.
Ma il rovesciamento ne La chimera costringe anche a guardare in alto, lasciandosi riempire gli occhi da quegli stormi di uccelli che un tempo ispiravano gli uomini dell'antichità, convinti che l'interpretazione di quei movimenti potesse predire il futuro o donare una voce terrena alla volontà divina.
Un'idea sublime infatti nutrire tale rovesciamento, sui titoli di coda, con la più mistica delle voci del panorama musicale italiano.
Quelli che "cambiano le prospettive al mondo" sono in fondo gli Uccelli di Franco Battiato, con i loro "voli imprevedibili", le loro "traiettorie impercettibili", "i codici di geometria esistenziale".
[L'affiche ufficiale de La chimera è un rielaborazione della carta de L'appeso dei tarocchi, il cui significato esoterico risiede nell'impossibilità di agire e nella necessità di ribaltare il proprio punto di vista, abbandonando la materialità e abbracciando una visione maggiormente spirituale]
Nel Cinema di Alice Rohrwacher infine non manca mai l'esplorazione della dimensione femminile inserita nel contesto specifico.
Nel tempo rurale de La chimera, già sovrastato da mostri di cemento armato e centrali elettriche, dalla modernità degli yacht su cui si discute il valore delle opere d'arte, i personaggi maschili sono tentati dalla meschinità del denaro, mentre è nella maggior parte delle personalità femminili che si manifesta la volontà di cooperazione e conservazione di una libertà personale.
Luoghi vitali, perché in grado di raccontare qualcosa, sono infatti la villa decadente di Donna Flora della quale figlie e nipoti maligne non vedono l'ora di sbarazzarsi, e la stazione abbandonata occupata con ingegno da Itala e da altre abitanti del villaggio insieme ai propri bambini.
Un'utopia, alla quale non crede nemmeno Arthur, in cui il bene comune è gestito da un gruppo di donne svincolato e liberato per sempre dal ricatto del denaro e della dipendenza.
Le donne di Alice Rohrwacher assumono spesso connotati anticonvenzionali rispetto alla sistematica rappresentazione femminile sullo schermo: ne La chimera questo è condensato nella costruzione del personaggio di Italia, straordinariamente interpretato da Carol Duarte, la cui bellezza primigenia, estetica e di spirito, si impone sullo schermo con grande tenacia.
[Josh O'Connor e Carol Duarte in una scena de La chimera]
Nonostante La chimera rimanga, a mio avviso, l'opera probabilmente più matura di Alice Rohrwacher, restano alcuni soliti inciampi, scelte spesso discutibili mosse da un eccesso di retorica o dalla paura che il messaggio fatichi a passare, cioè elementi che cozzano con la centralità del sottotesto che invece la regista sembra inseguire durante tutta la narrazione.
In ogni caso, con questo film il Cinema della regista sembra aprirsi a sempre più interessanti possibilità.
Rimane la disarmonia, rimangono i contrasti delle immagini, ma la riflessione è adesso ancora più radicata: La chimera, più che una lotta sofferta tra tradizione e modernità, è un dialogo tra la vita e la morte, tra la non-vita vissuta sulla terra e la palpitante vitalità della morte sotterranea.
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