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Si dice che in natura non ci sia contenitore più perfetto dell’uovo e a mio avviso La forma dell'acqua di Guillermo del Toro, complice il fatto che l’uovo sia un elemento importante nel racconto, mi ha dato l’idea di essere esattamente quello: un uovo.
Un contenitore perfetto, tecnicamente ineccepibile, ma che una volta aperto… finisce subito.
[Trailer internazionale de La forma dell'acqua]
Provo a spiegare il mio punto di vista, sapendo di camminare sulle uova dato che so che è piaciuto tanto a tanti
(ehi, ho parlato ancora di uova, buffo)
La forma dell'acqua è una favola, in tutto e per tutto: ha una voce narrante che apre e chiude il racconto, presenta personaggi bidimensionali che sono o buoni-buoni o cattivi-cattivi, ha il lieto fine dove vissero felici e contenti e il cattivo che viene sconfitto.
Ma ritengo che oltre la favola ci sia davvero molto poco.
La confezione è meravigliosa, ho amato la scelta di una fotografia così decisa che dialoga con scenografie e costumi per creare un mondo interamente virato su qualunque tonalità di verde possibile e qualche punta di azzurro, con la macchina da presa che si muove fluttuando nell’aria come se fosse sempre sott’acqua.
L’acqua è ovviamente fondamentale nel film: è l’elemento vitale del “mostro”, è dove Elisa (Sally Hawkins) si trova a suo agio, è ciò che lei usa per pulire per terra, è nel bicchiere che Strickland (Michael Shannon) rovescia per chiamarla ed è pioggia finta al cinema e pioggia vera nel finale.
Il colore verde viene esplicitamente citato come “il colore del futuro” ed è presente ovunque, sarebbe ridondante sottolinearne la presenza negli oggetti e nei costumi, ma è bello notare come sia appunto stato scelto in quanto colore del “progresso cattivo” mentre il rosso è il colore del “passato buono”.
Elisa si veste sempre di verde tranne dopo il rapporto con il “mostro”, con… con l’uomo pesc… con l’anfib… con Lui, dai, lo chiamerò “Lui” (Doug Jones), perché inizia a indossare dei particolari rossi, come le scarpe o il foulard tra i capelli.
La forma dell'acqua La forma dell'acqua La forma dell'acqua
Rossa è la gelatina che inizialmente disegna il suo vicino di casa, salvo poi piegarsi alla volontà dei clienti e trasformarla in verde.
Ma un attimo: vado con ordine, o almeno ci provo.
I protagonisti della storia, cattivo a parte - nota negativa per il doppiaggio: Michael Shannon appare bravissimo, ma per due ore io ho sentito la voce di Pino Insegno pensando alla tigre dell’Era Glaciale, e vabbè - sono tutti degli emarginati dalla società: c’è la ragazza muta, c’è l’essere anfibio, c’è l’omosessuale, c’è la donna di colore.
La forma dell'acqua si svolge a Baltimora, Maryland, nel 1962: siamo quindi in piena Guerra Fredda e pericolo missili su Cuba, un momento storico durante il quale i rapporti tra USA e URSS erano davvero ai minimi storici e tutti avevano paura che sarebbe successo qualcosa di nucleare da un momento all’altro.
Bene: di tutta questa confezione, nel film secondo me non esce praticamente nulla.
E non è per cercare il pelo nell’uovo
(ehi, ancora!)
ma perché poteva essere ambientato 10 anni prima e sarebbe stata la stessa cosa.
Poteva esserci un’amica al posto del vicino di casa (Richard Jenkins) e cambiava poco.
Poteva esserci una donna bianca al posto di Zelda (Octavia Spencer) e non avremmo notato differenze.
Tutto il discorso lievemente accennato sulla Corsa alla Conquista dello Spazio da parte delle due superpotenze mondiali resta lì, immobile, inutile, superfluo.
Non ho capito il perché di tali scelte, indubbiamente forti, se poi non vengono gestite in qualche modo.
Il film finisce nel momento in cui finiscono i titoli di coda, non ti regala una riflessione, una discussione, un pensiero che ti rimane in testa, un dubbio, un quesito.
La forma dell'acqua La forma dell'acqua La forma dell'acqua
Non ci sono punti di vista diversi, non c’è un dilemma o una posizione da prendere: è così, punto.
Non si può non essere d’accordo con la protagonista perché è così buona e indifesa e romantica che le vuoi bene per forza; non si può tifare per il cattivo perché non ha ambiguità né tentennamenti.
Tutto ciò mi ha lasciato un po’ interdetto.
È vero: c’è il discorso sul razzismo e la paura del diverso, c’è il discorso del riscatto degli emarginati, c’è anche volendo il discorso del maltrattamento del divino, ma è tutto davvero semplice e semplicistico, troppo.
La favola racconta se stessa e basta, e va accettata così com’è.
Anche la favola in sé, però, pecca secondo me di una linearità eccessiva che la porta ad essere eccessivamente prevedibile.
Elisa ha un ottimo rapporto con l’acqua, la vediamo masturbarsi ogni mattina nella vasca, veniamo a conoscenza del fatto che sia stata ritrovata in un fiume e porta addosso delle cicatrici che assomigliano tantissimo a delle branchie.
Ora, senza rompere le uova nel paniere a nessuno
(dai, lo stai facendo apposta, ammettilo)
ma che nel finale quelle diventassero vere branchie lo si era capito dal momento in cui si vedono la prima volta… o mi sbaglio?
La forma dell'acqua La forma dell'acqua La forma dell'acqua
Che i due fossero destinati a stare insieme anche fisicamente, nonostante la scena del loro rapporto sessuale sia davvero bella, era già scritto dall’inizio… o mi sbaglio anche qui?
Ed è vero che spesso non importa il cosa ma il come, ammetto di essere tra i principali sostenitori della questione, ma questa volta personalmente il come non mi è bastato per urlare al capolavoro.
È bello anche il sottotesto legato alla protagonista, a ben pensarci lei è muta e abita sopra a una sala cinematografica: il Cinema ha iniziato quando era muto, ed era in bianco e nero come il sogno di lei quando per la prima e unica volta la sentiamo “parlare”.
Mi è piaciuto il trattamento del cattivone Strickland, che da uomo integerrimo comincia letteralmente a perdere i pezzi e a venire danneggiato nel fisico, con le dita che si staccano e non tornano vive, nella proprietà privata, con l’auto nuova simbolo di potere che viene semi-distrutta, e nell’animo, con la minaccia del generale.
La forma dell'acqua La forma dell'acqua La forma dell'acqua
Ma restano piccoli tocchi di splendore, fiocchettini amorevoli che confezionano un qualcosa di troppo esile, troppo leggero, troppo fine a se stesso.
E ci sono almeno un paio di buchetti che in un film così curato mi infastidiscono di più rispetto a un film “buttato lì”: uno riguarda Lui e i gatti.
Vediamo che agisce da animale e ne mangia uno, ma cinque minuti dopo vediamo che ci gioca assieme e non accenna ad avere istinti bestiali di alcun tipo.
Cosa è cambiato, nel frattempo? Quando ha imparato?
Perché ha un atteggiamento così diametralmente opposto?
L’altro riguarda il finale dove davvero non mi va giù che, dopo che Dimitri è morto, Strickland vada direttamente a casa di entrambe le protagoniste.
Conoscendo perfettamente l’indirizzo di due che fanno le pulizie, conoscendo addirittura il piano dove abitano e la porta di casa: da Zelda bussa prima di entrare (e sorvolo sul personaggio del marito) e da Elisa arriva a fare irruzione.
Come caspita fa a conoscere dove abitino entrambe? A chi l’ha chiesto?
Di notte? Nel 1962?
Un po’ forzata, no?
La forma dell'acqua La forma dell'acqua La forma dell'acqua
Restando nella cosmogonia deltoriana trovo che Il Labirinto del Fauno sia un film molto più riuscito de La forma dell’acqua, molto più completo, più maturo.
In quella favola, perché sempre di favola parliamo, l’ambientazione era fondamentale e non un orpello, il franchismo subìto dal paese e dalla bambina permeavano tutta la storia, la condizionavano, e mi aspettavo di vedere un qualcosa di simile nel film nuovo, ma a un livello ancora più alto.
Invece, secondo me, non ho visto né il “capolavoro” di del Toro né il film della sua maturità, quanto appunto un pasticcino meraviglioso a vedersi, ma troppo piccino per lasciare un gusto persistente in bocca.
Anzi, la sensazione che mi ha lasciato è proprio quella che ne avrei voluto di più, ne avrei voluto ancora, perché ciò che ho gustato era molto buono, ma finiva subito.
Elisa nel film "dice" che "Se non facciamo niente, non siamo niente".
Ecco: per me il film non è che non faccia niente e sia niente, però fa davvero poco, col risultato di essermi parso davvero poco.
O magari invece sto sbagliando tutto, e il vero Mostro non è quello del film, ma sono io.
Io insensibile, io poco emotivo, io troppo cerebrale.
Ma non è neanche quello, perché sono uno che piange davanti ai film e si commuove ogni due per tre.
E non è nemmeno una questione di aspettative deluse, perché altri film tanto decantati prima che li vedessi mi sono piaciuti tantissimo lo stesso.
Allora forse è solo questione di uova.
Mi piacciono moltissimo, le uova, anche mangiate da sole e anche se finiscono subito.
Ma se ci aggiungi anche della maionese, del sale, del bacon e delle patate schiacciate il sapore è più completo e resta più tempo in bocca.
E mi piacciono molto di più.
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