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Perché a 10 anni dall'uscita Nymphomaniac è ancora tabù

A dieci anni dall'uscita Nymphomaniac (Volume 1 e Volume 2) resiste nel dialogo d'attualità, dando ancora oggi molteplici spunti di riflessione sulla società e la natura umana

Nymphomaniac ha compiuto 10 anni. 

 

Quando si parla di registi controversi e allo stesso tempo geniali pochi nomi vengono in mente prima di pronunciare quello di Lars von Trier.

Fastidioso, perfezionista e autoironico, von Trier è noto per aver rivoltato l’opinione pubblica, nel bene e nel male, molteplici volte.

Nymphomaniac, uno dei suoi film considerati “più scandalosi”, compie ben dieci anni e, dopo tutto questo tempo, continua ad attirare una grande fetta di curiosi. Prima di addentrarsi e parlarne nello specifico, bisogna tenere conto dell’importanza per von Trier delle cosiddette trilogie spirituali, ovvero una serie di film uniti da una stessa identificabile linea tematica. 

 

La Trilogia della Depressione, che racchiude Antichrist (2009), Melancholia (2011) e Nymphomaniac (2013), è forse la più conosciuta e ha ricevuto diverse candidature e premi in prestigiosi festival cinematografici, dagli European Film Awards al Festival di Cannes

 

Di Nymphomaniac si discuteva già da prima dell’uscita grazie alla grandissima trovata pubblicitaria di Lars von Trier, che voleva sollecitare l’attenzione pubblicando anticipazioni, foto e video continue del suo ironicamente chiamato “really bad porn movie”, annunciando che le scene di sesso sarebbero state esplicite e, soprattutto, reali. 

Nymphomaniac a causa del suo minutaggio fu diviso in due film, Volume 1 e Volume 2, e venne distribuita una versione cinematografica dalla durata totale di quattro ore; solo successivamente uscì la director’s cut dalla durata totale di circa cinque ore e mezza. 

Le differenze tra le due versioni, in realtà, sono più di quante ci si aspetta perché non riguardano solo la censura di scene di sesso o violenza esplicita, ma includono anche alcuni cambi di dialoghi e scene alternative.  

 

In seguito mi concentrerò sulla director’s cut non solo perché è la versione voluta dal regista con scene appositamente selezionate da lui (l’altra è stata invece voluta così dalla produzione), ma anche per dare un’idea più attenta riguardo alcune scelte di von Trier sotto ogni aspetto.  

 

[Il trailer di Nymphomaniac Volume 1]

 

 

Joe (Charlotte Gainsbourg) viene trovata in un vicolo, riversa a terra sanguinante e piena di contusioni, dal vecchio Seligman (Stellan Skarsgård); preso dalla pietà, l'uomo decide di portarla a casa sua. 

 

Dopo averle offerto del tè e un letto in cui riposare, Seligman ascolta Joe che comincia a raccontare la propria vita, in modo a volte disordinato, concentrandosi soprattutto nel suo periodo giovanile (interpretata da Stacy Martin).

Joe si definisce “ninfomane” e la sua lunga storia, divisa in cinque capitoli in Nymphomaniac Volume 1 e altri tre capitoli in Nymphomaniac Volume 2, sviscera il suo approccio alla sessualità che ha dominato ogni rapporto della sua vita sin dalla sua nascita.

 

Sebbene Nymphomaniac nella sua interezza possa essere riassunto con queste poche parole, quello che mostra in verità acquista livelli sempre profondi e differenziati. 

 

 

[Le "scandalose" locandine di Nymphomaniac]

 

Attraverso una serie di flashback, in ordine più o meno cronologico, Joe si mette a nudo con Seligman nel momento in cui crede di aver toccato il fondo, quando l’abisso sembra più vicino che mai.

 

Seligman, dal canto suo, sembra un attento ascoltatore, affascinato dalla figura di Joe, nonostante lei premetta che lui possa rischiare di “non capirla”.

Joe e Seligman si incontrano e si scontrano nei loro dibattiti scoprendo a mano a mano tutte le carte, enfatizzando il modo in cui si approcciano e percepiscono il mondo, sia spirituale che materiale, affrontando i temi più disparati.

 

Mentre Joe si racconta tramite flashback, Seligman si esprime tramite digressioni; questi due elementi si concatenano all’infinito creando la base narrativa del film.

Digressioni e flashback, dunque, sono due facce della stessa medaglia perché mostrano a tutto tondo i personaggi e, dunque, anche il pensiero di von Trier, combattuto e contraddittorio - dunque umano.

Seligman, di cui si sa ben poco, rappresenta a suo modo il razionale, il pensiero, l’umano che cerca ad ogni costo una spiegazione logica degli eventi: di fatto, i confronti che fa con la narrazione di Joe non sono altro che la volontà di incasellare tutto quello che succede in uno schema preciso.

 

Di Joe, invece, si sa sempre di più a mano a mano che si procede col minutaggio e, seppure si esprima con lucidità, le immagini mostrano la sua emotività, nei suoi atti di piacere e di dolore.

Apparentemente tutto può essere ridotto a un semplice binarismo (uomo/donna, razionale/irrazionale, bene/male) ma scavando più a fondo si può intuire che von Trier utilizzi il maschile e il femminile per una visione a 360° dell’umanità. 

Il suo rendere protagoniste principalmente donne che subiscono comportamenti deplorevoli gli è valso il titolo di “misogino” a causa del film Antichrist.

 

Charlotte Gainsbourg, che interpreta Lei nel primo film della trilogia della depressione, in una vecchia intervista a The Village Voice ha affermato di “avere la sensazione di star interpretando Lars” e che “nella sua stessa fragilità, Lars era il personaggio femminile”.

Come se non bastasse, von Trier stesso ha affermato che i suoi personaggi maschili sono principalmente degli “idioti che non capiscono un cazzo”.

 

Quello che compie Lars von Trier è un lavoro di semplificazione ma non di banalizzazione, in quanto proietta le sfaccettate forme di se stesso sia in schemi concisi e lineari, come dimostra Seligman con i suoi riferimenti culturali e matematici, sia in schemi disordinati e caotici, come dimostra Joe mentre riempie il suo racconto con ogni singolo crudo dettaglio, non importa quanto spietato sia.

 

 

[In Nymphomaniac la drammaticità è spezzata da scene grottesche e ilari]

 

L’amore viene ripudiato da Joe in ogni sua forma, è una debolezza che strugge e mette in ginocchio; ciò che conta è la lussuria, vista come un atto ribelle contro una società che ha paura del sesso; l’amore rappresenta una rovina, non è altro che “lust plus gelosy”, un viaggio di sola andata verso l’annichilimento.

 

La sua cinica visione la porta a desiderare di essere solo un oggetto per Jerôme – l’uomo più importante della sua vita, nel bene e soprattutto nel male - un bisogno preannunciato dalle fatali parole di B: “The secret ingredient to sex is love”

Il suo primo tentativo di forzare l’intreccio dei loro destini risulterà vano ma risveglierà l’indole di Joe. L’amore disilluso, dunque, fa nuovamente spazio al sesso, a uno sfogo personale ed egoistico, che non tocca Joe ma devasta chi le è intorno.

 

L’unica persona di cui sembra realmente importarle è suo padre con cui ha un rapporto idilliaco e di cui si prende cura fino al momento della sua morte, un’apoteosi visiva di delirante dolore.

Quando infine si ricongiunge con Jerôme, quasi come per magia - in un momento fiabesco quindi inverosimile per Seligman - un apparente lieto viene distrutto proprio dal perduto amore: Joe non riesce a provare più piacere fisico.

 

Proprio così si apre Nymphomaniac Volume 2, con l’assenza di orgasmo di Joe e, poco dopo, una gravidanza indesiderata.

La frustrazione e l’insoddisfazione fisica negli anni cresce portandola a una ricerca compulsiva del piacere, che culmina nella scelta di abbandonare il marito e il figlio treenne: attraverso K, maestro del sadomasochismo, la libidine è ritrovata e l’amore è scartato.

 

Da qui Nymphomaniac si colora di tinte piuttosto violente, che evitano qualsiasi emozione positiva, dapprima con una delle scene più crudeli di sempre, quella dell’aborto, e successivamente con una serie di scelte crudeli da parte di Joe, che via via si deumanizza, entrando addirittura a far parte di un circolo di criminalità. 

 

“I left the society or she left me, I can’t say”, afferma a Seligman, nell’impossibilità di accettare se stessa.

 

 

[Jerôme in Nymphomaniac è interpretato da Shia LaBeouf]


In Nymphomaniac Joe si descrive sin dall’inizio come una persona cattiva, incapace di provare conforto nel sentimento umano, ma più mostra di sé più è chiaro che tutto quello che fa la rende esattamente umana, degna di un’esistenza, nonostante una vita di scelte turbolente e disperate.

 

Il riscatto è davvero possibile?

Quando si preannuncia finalmente la speranza di “guarigione”, guidata da Seligman, Joe si ritrova l’ennesima oscena verità sbattuta in faccia.

Ancora una volta deve imbracciare le armi e combattere: la società l’ha tradita nuovamente e tragicamente, forse chiudendole definitivamente la via verso la libertà.

Per von Trier sembra non poterci essere una redenzione perché è impossibile non essere giudicati: per gli altri sarai sempre le tue asfissianti scelte, quelle che ti porterai finché cammini su questa Terra.

 

Ancora oggi il finale di Nymphomaniac è molto discusso: da alcuni viene visto come un finale coerente, da altri invece come un “tradimento” di quanto mostrato per cinque ore e mezza sullo schermo e da altri ancora come un’enorme barzelletta sulla società moderna.

Continua però ad affascinare il dibattito che von Trier instaura, portando alla riflessione su numerosi temi di attualità, tra cui spiccano (oltre ai già citati) il masochismo, religione, la pedofilia e l’aborto (quest’ultimo completamente censurato nella versione cinematografica). 

 

Un’altra cosa più pragmatica che ancora affascina sono indiscutibilmente le scene di sesso, che hanno portato Nymphomaniac a costare circa 18,5 milioni di dollari a causa del grande lavoro sugli effetti visivi.

Di fatto questo è un aspetto sottovalutato della pellicola, ma allo stesso tempo curioso se lo si approfondisce.

 

Come risaputo, gli attori in Nymphomaniac possedevano i propri body doubles, ovvero attori e attrici hard; mentre questi ultimi avrebbero girato realmente le scene di sesso, gli attori si sarebbero occupati di quelle simulate.

Il tutto è stato poi unito attraverso un vero e proprio lavoro di accuratissimo patchworking, dalla resa ancora oggi molto valida.

 

Per quanto l’hype sia schizzato alle stelle per queste chiacchierate scene, in realtà la realizzazione è stata estremamente complessa e piena di tecnicismi, definita persino “la più noiosa”.   

 

Nymphomaniac si inserisce bene come conclusione della Trilogia della Depressione, confermando l’idea di Lars von Trier sul fallimento dell’uomo e del suo inevitabile male, della società troppo impegnata a fagocitare se stessa in un atto unico e continuo di violenza, al punto di dimenticarsi ogni possibile sintomo positivo, come riportato ancora una volta dal pensiero di Joe/Lars.

 

“La qualità umana può essere espressa in una parola: ipocrisia”.

 

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