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F come Falso: il ruolo dell'arte nell'economia di mercato

Orson Welles col suo ultimo film affronta il tema delle verità e delle menzogne nell'arte, sfruttando uno stile documentaristico che inganna lo spettatore con un uso del montaggio che rende questo film l'ennesimo capolavoro del regista.

 

- È grazioso, ma è arte?

- "È grazioso, ma è arte"? Beh, quanto è valutato?

 

 

In molti grandissimi film il regista ci permette fin dalla prima sequenza di capire qual è l'idea che verrà sviscerata da lì ai titoli di coda, e F come Falso non fa eccezione.

 

Anzi, l'incipit è tutto un programma: Orson Welles interpreta se stesso in quella che sembra una stazione ferroviaria (cosa che ovviamente non è: è un set, come ci viene poi mostrato), e intrattiene un bambino con dei trucchi di magia.

 

Una chiave si trasforma in una moneta, che scompare per poi riapparire in tasca al meravigliato infante.

 

La sequenza si chiude con una citazione a Houdini, secondo il quale "il mago non è altro che un attore che interpreta un mago".

 

Houdini non era veramente un mago ovviamente, era un "ciarlatano", parola che verrà usata più volte nell'arco del film, insieme ad altre quali "Inganno", "Falso", "Bugia", "Truffa".

Verità e menzogne nell'arte, dunque.

 

E ovviamente il gioco di prestigio non è che un pretesto, una metafora per parlare di altri grandissimi inganni e di tutto ciò che comporta la loro identificazione.

 

Dove sta il limite tra le verità e le menzogne?

C'è un limite? E se ci fosse sarebbe davvero importante?

 

Il bambino è stregato dal movimento delle mani di Orson, per lui non ha importanza sapere (probabilmente già lo sa) che quel che vede davanti ai suoi occhi è un trucco, una finzione, una costruzione ad hoc fatta appositamente per ingannare.

 

E qual è l'inganno per eccellenza del ventesimo secolo, se non il Cinema?

 

Ecco dunque che il capolavoro è presto servito: il Cinema che racconta se stesso attraverso una storia di bugie e di inganni, e che dopo aver mostrato chiaramente al pubblico la facilità con cui può trarre chiunque in fallo ci assicura, nella persona del narratore Orson Welles, che tutto ciò che vedremo nell'ora seguente è vero e accertato. 

 

 

 

 

Sarebbe comunque riduttivo ai limiti dell'offesa ritenere F come Falso un documentario, cosa di cui ha a malapena la forma.

 

Per tutto il tempo lo spettatore assiste a un folle lavoro di montaggio che unisce interviste, semplici conversazioni a cena o durante le feste, estratti di bollettini via radio e quant'altro, tutto -appunto - montato per apparire realistico ma lasciando continuamente intendere che ciò a cui assistiamo non necessariamente è reale, magari anche questa è una bugia, l'ennesima oltre alle decine di cui si sente parlare negli 88 minuti di durata del film.

 

D'altronde le circostanze non potrebbero essere più sospette: Welles dirige il racconto seduto alla moviola, lo strumento per eccellenza che elimina l'oggettività delle immagini e manipola la realtà. 

Il punto centrale è la descrizione di due personaggi che hanno fatto della falsità una professione, Elmyr de Hory, falsaio di famosi pittori di fama mondiale, e Clifford Irving, suo biografo e successivamente autore della poi rivelatasi finta biografia di Howard Hughes.

 

Orson Welles si reca a Ibiza con il regista François Reichenbach, che all'epoca tentava di dirigere un documentario sui falsari (che poi non si fece, tanto che il girato venne venduto a Welles da Reichenbach per poterlo riutilizzare), ed entra in contatto con questi due elementi singolari: li intervista e costruisce sulle loro parole un saggio su cosa sia arte e cosa non lo sia, sulla conseguente importanza dell'autorialità e sul ruolo della critica specializzata.

 

Elmyr è stato reso famoso alla fine degli anni '60 dal libro che ne descriveva la vita scritto da Irving, nel quale si racconta di come il pittore riuscisse a vivere spacciando per originali dei suoi falsi dipinti di Modigliani, di Matisse, di Picasso, e di come questo abbia portato numerose sale di famosi musei ad ospitare un numero enorme di questi dipinti.

 

A suo tempo questo libro fu uno scandalo e motivo di imbarazzo per musei e sedicenti esperti, tutti raggirati dall'abilità di un uomo legittimato nella sua attività dalla incapacità degli stessi esperti a distinguere un originale da una copia.

 

Un intrigo quasi machiavellico che lo stesso Orson non può che spalleggiare, tra l'altro.

Ma perché un uomo che basa il suo lavoro sull'inganno e che sfrutta il nome di chi è più famoso di lui dovrebbe avere il diritto di guadagnarci?

 

"Perché i suoi dipinti falsi sono belli tanto quanto quelli veri, ed esiste un mercato, ed esiste una domanda: senza il mercato i falsari non esisterebbero."  

 

Così quel che viene discusso innanzitutto è il ruolo dell'arte in una società basata sull'economia di mercato e quindi influenzata da esso, mentre in secondo luogo si contesta l'effettiva preparazione degli esperti e di conseguenza la loro utilità e le conseguenze della loro esistenza, nonché la credibilità dei critici d'arte e dei direttori di museo che con la loro incompetenza arrivano a scambiare un dipinto falso per uno vero, e con una loro semplice parola quello stesso dipinto arriva a valere migliaia di dollari.

 

Ma questo contemporaneamente vuol dire che il valore dell'arte non è intrinseco, bensì conferito dai suddetti esperti che grazie ai loro giudizi creano un mercato.

E in questo mercato è presente una scala economicamente ordinata di dipinti-opere.

 

"Il valore dipende dalle opinioni, e le opinioni dipendono dagli esperti, ma se un falsario come Elmyr si fa beffe degli esperti, chi è l'esperto?"

 

 

 

 

Parallelamente alla storia di Elmyr si racconta quella di Clifford Irving, che alcuni anni dopo il periodo di shooting a Ibiza pubblica un libro sulla storia di Howard Hughes, produttore cinematografico e aviatore statunitense (poi interpretato da Leonardo DiCaprio in The Aviator, di Martin Scorsese) noto per la sua vita schiva ed eccentrica, di cui si sapevano poche notizie certe ma attorno al quale giravano numerose leggende metropolitane, una meno realistica dell'altra.

 

L'aura di leggenda che circonda Howard Hughes però porta naturalmente le persone a interrogarsi sulla sua persona, affidandosi a ciò che sente, qualunque cosa senta.

 

Il libro di Irving si rivela un falso, ma l'eco che provoca è enorme, e a quel punto cosa importa se le informazioni riportate sono vere o false? 

 

Welles ovviamente, e non solo per il suo mestiere di regista, non può che appoggiare questa visione tanto furba quanto polemica e provocatoria, oltre che incredibilmente comica.

Egli stesso è parte di questo enorme sistema di bugie: il suo primo lavoro in una stazione radiofonica, un adattamento della Guerra dei mondi, convinse migliaia di cittadini che i marziani stessero sbarcando sul suolo americano.

 

Nel film racconta anche di quando all'inizio della sua carriera d'attore in Irlanda si spacciò per una famosa star di New York per poter lavorare.

 

Ma allora in sostanza cosa è l'arte?

È un nome? È un valore economico?

 

Qual è il sottostante, la matrice "umana" che rende un dipinto, o un film, arte? 

Welles, nelle parole di Elmyr, ci suggerisce che il fattore determinante sia il tempo.

 

"Se lo appendi in un museo o nella tua collezione di grandi dipinti, e se ci rimane abbastanza, diventa vero."

 

 

 

 

Vediamo la Cattedrale di Chartres, completata nel 1220, ancora in piedi.

 

Uno dei più fulgidi esempi delle capacità umane nell'arte, e senza una firma, che anche dopo la dipartita del suo ideatore è rimasta intatta, senza trasformarsi nella polvere a cui tutto il resto è destinato, a testimoniare il suo passaggio. 

 

"Forse il nome di un uomo non è così importante."

 

Un mio amico una volta mostrò un Picasso a Picasso, che però disse che era un falso.

 

 

- Ma Pablo, ti ho visto dipingerlo con i miei occhi!

- Posso dipingere un falso Picasso come chiunque altro.

 

 

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3 commenti

Davide Sciacca

5 anni fa

Si ho letto, a rappresentare la caducità della vita e di ogni cosa.

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Tazebao

5 anni fa

Ogni 20 o 10 anni, se non ricordo male, viene quasi totalmente ricostruito; poiché - sempre se non ricordo male - la ricostruzione è associata ad un evento religioso.

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Davide Sciacca

5 anni fa

Quando ho letto Cina all'inizio del tuo post pensavo proprio ai vasi o ai templi ricostruiti uguali agli originali per ovviare alla normale decadenza del tempo. Del Santuario di Ise invece non sapevo nulla, grazie dell'interessante scoperta!

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