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Asia - Recensione: madre e figlia, fino alla fine

Asia è il primo lungometraggio della regista israeliana Ruthy Pribar, proposto agli Oscar 2021 come Miglior Film Internazionale 

Asia è il primo lungometraggio della regista israeliana Ruthy Pribar, proposto agli Oscar 2021 come Miglior Film Internazionale. 

 

Nell'ultimo ventennio cinematografico il Cinema israeliano si è imposto all'attenzione del pubblico e della critica con produzioni di livello assoluto, pienamente in grado di spaziare dall'animazione di Valzer con Bashir (2008) al comedy/drama musicale de La Banda (2007), passando per il thriller di Incitement (2017) e Big Bad Wolves (2013), fino ad atipici - e brillanti - film bellici come nel caso di quel Lebanon che conquistò il Leone d'oro a Venezia nel 2009.

 

In questa fioritura di pellicole dal Vicino Oriente si incastra Asia, opera prima della giovane regista Ruthy Pribar, capace di aggiudicarsi al Tribeca Film Festival i premi per la Miglior Fotografia (Daniella Nowitz), Migliore Attrice (Shira Haas) e, soprattutto, il Premio Nora Ephron, riconoscimento dedicato a

"Una donna che incarna lo spirito e la visione della leggendaria regista e scrittrice Nora Ephron".

 

[Il trailer di Asia]

 

 

Sommando queste indicazioni ricevute dal Festival cinematografico fondato da Robert De Niro alla vittoria di ben 8 premi al 30° Israeli Academy Awards (fra i quali Miglior Film, Migliore Attrice Protagonista e Migliore Attrice Non Protagonista) è facile intuire il motivo per il quale Asia sia stato la proposta targata Israele come Miglior Film Internazionale per gli Oscar 2021.

 

La storia del film ruota attorno ad Asia (Alena Yiv), una madre single immigrata a Gerusalemme dalla Russia, e a sua figlia Vika (Shira Haas), adolescente dal carattere spigoloso, ribelle e taciturno tipico di chi sta passando dall'infanzia all'età adulta.

 

Ad ampliare la distanza fra le due, oltre a una differenza d'età minima, c'è l'estenuante lavoro di Asia - infermiera senza marito che deve provvedere alle necessità familiari - e la malattia neurodegenerativa di Vika che secondo i medici la condurrà, progressivamente e inesorabilmente, a un'insufficienza motoria e probabilmente al decesso.

 

 

[Shira Haas, dopo la prova eccezionale in Unorthodox, è Vika in Asia]

 

 

Nel leggere la sinossi del film si potrebbe pensare immediatamente a un dramma profondo, senza scampo e autocompiacente nel dipanare dinamiche e meccanismi narrativi dolorosi.

 

Al contrario, il primo lungometraggio scritto e diretto da Ruthy Pribar è un'opera profondamente delicata, che utilizza i temi della solitudine e della morte per parlare di unione ritrovata, del rapporto genitore-figlio e, paradossalmente, della forza della vita.

 

Asia è una donna profondamente sola, costretta a mille turni lavorativi utili a mantenere una figlia avuta troppo presto. Una "ragazza madre" che deve prendersi cura di una mamma in piena demenza senile e di una figlia destinata a perdere prematuramente. Per trovare conforto a tutte le privazioni derivate da una vita che non le dà tregua, Asia si rifugia fra le braccia di uomini sbagliati ma disponibili ad accoglierla, seppur per un breve spazio di tempo.

 

Vika patisce le stesse mancanze materne: si sente sola, sa cosa le riserva un futuro senza data (ma prossimo), desidera una madre che è - fisicamente ed emotivamente - distante, e vorrebbe incontrare l'amore, il contatto fisico con un uomo, prima che sia troppo tardi.

 

Una delle chiavi di lettura di Asia pare essere proprio quella del tempo.

 

Anzi, dei tempi sbagliati, di momenti di vita incompatibili, che sembrerebbero non incontrarsi mai, per poi invece intrecciarsi con complicità e amore di fronte a difficoltà insormontabili e definitive.

 

 

[Complicità e sorrisi - fortunatamente - non sono estranei nel dramma di Ruthy Pribar]

 

 

La Pribar dirige con mano sicura le sue due splendide protagoniste utilizzando prevalentemente una macchina a mano scevra da orpelli stilistici - libera da movimenti che trascinino lo spettatore fuori dalla narrazione - supportata dalla fotografia (con tanta luce naturale) di Daniella Nowitz che si sofferma spesso su dettagli carichi di significato e sui volti di Asia e Vika.

 

Seguendo il procedimento narrativo già battuto da produzioni di matrice israeliana, la sceneggiatura e le idee di messa in scena della regista non danno mai l'impressione di voler enfatizzare in maniera esasperata le vicende, lavorando invece per sottrazione, giocando sui non detti e sulle abilità espressive delle protagoniste della storia.

 

In questo Ruthy Pribar è stata fortemente agevolata da un casting a mio avviso perfetto: Shira Haas, dopo l'eccezionale prova di Unorthodox si conferma essere non solo un'enfant prodige del Cinema israeliano, ma una stella destinata a risplendere a lungo nel firmamento cinematografico internazionale; l'attrice russa Alena Yiv - al suo secondo lungometraggio nel ruolo di Asia - non è da meno in una parte interpretata con grazia e assoluto disincanto.

 

Asia è un film che utilizza il tono del dramma inserendolo in una realtà minuta, quasi trascurabile nella sua tragica e inesorabile quotidianità, per parlare dell'amore di una madre per la figlia, di ricordi e legami indissolubili, di vita.

Fino alla fine.

 

Asia è disponibile dal 12 febbraio sulla piattaforma streaming MioCinema.

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