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City Hunter - Recensione: l'adattamento c'è, il film meno

Il nuovo live action targato Netflix riesce finalmente nel compito di adattare fedelmente un manga, l'omonimo City Hunter di Tsukasa Hojo, trasformandolo in un film che nonostante risenta di evidenti difetti oggettivi riesce a illuminare la via da seguire per la produzione di questo genere di prodotti legati alla cultura giapponese 

City Hunter, da poco disponibile su Netflix, sotto un certo punto di vista segna un deciso passo in avanti del colosso dello streaming per quanto riguarda le produzioni live action ispirate ai manga.

 

Dopo i secondo me pessimi risultati ottenuti con gli adattamenti di Death Note o di Cowboy Bebop le speranze dei lettori di manga di tutto il mondo erano state riaccese dalla decisamente più convincente serie TV dedicata a One Piece.

Con City Hunter Netflix sembra ora aver capito una lezione importante: la produzione nipponica di questo lungometraggio, a differenza di quelle occidentali degli esempi sopracitati, si è dimostrata decisamente in grado di aggiungere valore a questo tipo di prodotto, specie in termini di fedeltà al materiale originale.  

 

Diretto da Yuichi Sato, City Hunter si dimostra infatti un grande omaggio al manga di Tsukasa Hojo, da cui è tratto, che cerca in diversi modi di accontentare tutti i fan dell’opera originale finendo però talvolta per perdere di vista il prodotto filmico in sé.

 

[Trailer internazionale di City Hunter]

 

 

Fin dalla sua nascita negli anni ‘80 City Hunter è un manga che ha subito diversi adattamenti, che hanno permesso a più generazioni di conoscere e apprezzare le avventure del detective giapponese Ryo Saeba.

 

Partendo dall’omonimo anime di successo degli anni ‘90, l’opera è stata poi declinata in diversi lungometraggi d’azione (tra cui spicca il recente City Hunter The Movie: Angel Dust), in piccole produzioni francesi e coreane e in un film del 1993 in cui Ryo è interpretato da Jackie Chan in persona. 

 

In mezzo a questo ingarbugliato intreccio di produzioni che portano il nome di City Hunter è innegabile che, tolto l’anime, l’ultimo lungometraggio Netflix sia quello che più riesce ad avvicinarsi all’opera originale di Hojo in maniera convincente e puntuale, senza sacrificare nessuna delle componenti che la contraddistinguono. 

 

 

[Il protagonista Ryo Saeba durante una sequenza action di City Hunter]

 

 

Il protagonista di City Hunter è il carismatico detective Ryo Saeba (Ryohei Suzuki). 

 

 

Tiratore dalla mira infallibile e abile combattente, lo sweeper di Shinjuku, quartiere di Tokyo in cui è ambientato il film, non riesce però a nascondere il suo spasmodico desiderio sessuale che finisce per riversare su clienti, colleghe e nemiche. 

Ryo rimarrà invischiato in un caso che, riprendendo gli avvenimenti del manga, lo porterà a perdere il suo collega Hideyuki Makimura (Masanobu Andô) che, in punto di morte, gli chiederà di prendersi cura della sorella Kaori (Misato Morita).

Con lei il detective formerà una strana coppia da buddy movie e tra battibecchi e insistenze i due si ritroveranno a collaborare nella ricerca di una misteriosa cosplayer; questa sembra infatti collegata sia agli uomini che hanno ucciso l’ex collega del detective sia a dei misteriosi casi di scomparse che stanno interessando tutto il quartiere di Shinjuku.

 

Aiutati dall’avvenente detective Saeko Nogami (Fumino Kimura), i due scopriranno anche l’esistenza di una potente droga, usata solitamente dai soldati nelle zone di guerra, che sembra scatenare la parte più violenta delle persone che la usano donandogli una forza sovraumana.

 

Tra sequenze d’azione concitate, momenti grottescamente comici e pesanti prese di consapevolezza lo strano duo si ritroverà quindi a dover difendere il proprio quartiere da una minaccia ben più grande di quanto si aspettassero. 

 

 

[Ryo Saeba e Kaori in un momento di confronto]

 

 

Fin dal suo esordio le caratteristiche che resero City Hunter un grande successo furono sicuramente due: il carismatico e strampalato protagonista Ryo e il perfetto mix di azione, commedia e dramma che caratterizzava le sue avventure.

 

Se riproporre in modo coerente questi due punti di forza era l'obiettivo di questo adattamento live action è indubbio che l'operazione si da considerarsi pienamente riuscita.

 

Il personaggio di Ryo Saeba, nato negli anni '80, riprendeva le figure dei detective che si andavano definendo in quel periodo con opere come la serie TV Miami Vice o i lungometraggi dedicati all'Ispettore Callaghan, aggiungendo però una componente comica decisamente marcata: proprio l'interpretazione di Ryohei Suzuki, che si cala perfettamente nei panni del detective, rappresenta secondo me una delle cose più riuscite di tutto il film. 

Divertente nei momenti più comici e grotteschi, mentre spia ragazze in bikini o si esibisce in uno spogliarello, l'attore risulta convincente anche nelle sequenze action più fisiche, riuscendo inoltre nelle situazioni più drammatiche a dare una profondità inaspettata al suo personaggio.

 

Questa strana miscela di generi e toni diversi è l'altro punto di forza di City Hunter

 

Riprendendo la formula che aveva reso famoso il manga, questo adattamento oscilla costantemente tra la commedia slapstick e le atmosfere noir, tra l'action puro e il dramma, riuscendo a trovare un equilibrio che risulta convincente e ben gestito.

 

 

[Il protagonista Ryo Saeba mentre si esibisce in uno spogliarello]

 

La macchina e i vestiti di Ryo, il martello che Kaori usa per picchiare il suo partner e la canzone Get Wild dei TM Network, storica sigla dell'anime, rappresentano solo alcuni degli elementi che dimsotrano la fedeltà di City Hunter al manga originale.

 

 Il tono scanzonato ed esasperato che governa il film, tra proiettili che al rallentatore compiono distanze chilometriche per centrare a pieno il bersaglio o un assurdo combattimento scambiato per un'esibizione di cosplayer, riesce pienamente a farci respirare le atmosfere nipponiche che caratterizzano questo tipo di prodotti. 

Sono proprio questi punti di forza che non permettono però a City Hunter di splendere come film a sé stante. 

 

A mio avviso infatti il problema principale dell'opera è proprio quello di consegnarci un adattamento fedele che non riesce però a tenere bene in considerazione che manga/anime e film sono media differenti, ognuno con il proprio linguaggio e con le proprie regole. 

 

Se il personaggio di Ryo è decisamente riuscito nella sua componente iconica e caratteristica si sente la mancanza di un suo sviluppo, che nel manga e nell'anime è invece affidato ad un percorso più lungo e diluito nel tempo; al suo fianco inoltre i comprimari non risultano per nulla convincenti, sembrando spesso delle semplici macchiette.

Stesso discorso, seppur con un peso negativo ancor maggiore, vale per i cattivi di City Hunter.

I nemici e le situazioni che Ryo si troverà ad affrontare, oltre a conservare un sapore di già visto, non riescono mai a risultare davvero convincenti né tantomeno sorprendenti. 

 

Specie per quanto riguarda la seconda metà del film si ha poi la sensazione che le gag, le sequenze action e i momenti più riflessivi si susseguano in maniera piuttosto episodica, non riuscendo a coinvolgere a pieno lo spettatore in una forte narrazione ritmata e coerente.

 

 

[Il detective Ryo con un travestimento a un evento di cosplay]

 

 

Sebbene quindi City Hunter si dimostri uno dei migliori adattamenti live action targati Netflix, risultando una pellicola piacevole e fresca, sembra però che come film non riesca a splendere sotto nessun punto di vista, se non appunto la fedeltà al materiale originale e l'iconico protagonista interpretato magistralmente da Suzuki. 

 

Resta ora da vedere se questi elementi riusciranno ad alimentare l'incredibile potenziale del film per diventare un franchise, intrinseco a City Hunter stesso, con l'apertura a dei possibili sequel.

 

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