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Las memorias perdidas de los árboles - Recensione: memoria

Due parole su Las memorias perdidas de los árboles, presentato all'80ª Mostra del Cinema di Venezia e vincitore del premio al Miglior Cortometraggio SIC@SIC

Las memorias perdidas de los árboles è il primo film di Antonio La Camera, presentato all’80ª Mostra del Cinema di Venezia e vincitore del premio per il Miglior Cortometraggio SIC@SIC con la seguente motivazione: “Per aver immaginato un’esperienza sensoriale, un viaggio allucinogeno, una vertigine psichedelica.

 

Ma soprattutto per averci condotto attraverso un’esplorazione emotiva intensa, che commuove e meraviglia, trascendendo il dato di natura fino al cuore umanissimo della sofferenza e della perdita”. 

 

[Trailer di Las memorias perdidas de los árboles]

 

 

Due alberi della foresta amazzonica improvvisamente si “animano”: uno comincia a ricordare elementi del proprio passato che, consequenzialmente, portano al risveglio anche della memoria dell’altro.

 

Las memorias perdidas de los árboles è stato realizzato durante il workshop esclusivo organizzato da Playlab Films intitolato Apichatpong Weerasethakul Lab: filming in the Amazon, nel quale in dieci giorni 50 diversi registi avrebbero avuto modo di girare 50 cortometraggi sotto la supervisione del regista Apichatpong Weerasethakul, vincitore al Festival di Cannes sia della Palma d’oro con Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti nel 2010 e Premio della giuria nel 2021 con Memoria.

 

La pellicola, seppur di breve durata, coinvolge subito attraverso inquadrature sinuose e suoni che sembrano provenire da un tempo sconosciuto, offrendo al mondo un po’ di quella che è la maestosa Foresta Amazzonica.

 

Lì dove la natura sembra incontaminata, però, si fa spazio l’umanità, attraverso la conversazione tra due alberi, un shihuahuaco e un lupuna, che sviscerano dei ricordi in cui sono fratelli, bambini in carne e ossa. 

 

 

[Una scena di Las memorias perdidas de los árboles]

 

 

Ne Las memorias perdidas de los árboles gli alberi comunicano attraverso dei rumori singolari, non umani, ma sottotitolati e dunque resi tali, per marcare ancora di più quella connessione Uomo/Natura - tanto cara alla poetica di Apichatpong Weerasethakul stesso - che Antonio La Camera indaga tra immagini oniriche e surreali, decisamente sperimentali, quasi contrapposte al dialogo lineare tra i due protagonisti. 

 

La spiritualità che permea la pellicola cede volutamente a momenti carnali e brutali - non visivi, ma narrati - arrivando a riflettere sul dolore, sui sensi di colpa e sulla salvezza, per sorpassare infine quei corpi lontani nello spazio e nel tempo e finalmente perdonarsi, seppur in una nuova forma più vicina alla terra che all’individualità. 

 

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