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Monica - Recensione: asfissiante riavvicinamento - Venezia 2022

Monica è il tentativo di raccontare tutti i dubbi, le attese e le difficoltà di un riavvicinamento 

Monica è il secondo dei cinque film italiani in concorso alla 79ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia; l'opera di Andrea Pallaoro insieme a Bones and All di Luca Guadagnino precede L'immensità di Emanuele Crialese, Il signore delle formiche di Gianni Amelio e Chiara di Susanna Nicchiarelli.

 

L'autore trentino mette in scena il racconto - estremamente intimo e asfissiante - del riavvicinamento tra Monica e la madre Eugenia che aveva abbandonato anni prima e che ora è molto malata.

 

Le due sono interpretate rispettivamente dall'attrice transgender Trace Lysette e da Patricia Clarkson.

 

 

[Eugenia e Monica riavvicinate in un'inquadratura]

 

Dal punto di vista narrativo il film è estremamente lineare, privo di guizzi, il regista Pallaoro pare esserne consapevole quasi dichiarandolo già dalla prima inquadratura che apre a un inusuale formato 1.2:1, con cui l'autore esibisce un interesse prevalentemente orientato agli elementi registico-visivi, soprattutto a fronte di una scrittura solida, anche se fin troppo semplice. 

 

"Volevamo trovare un modo di esaltare il soggetto rispetto al paesaggio, fare in modo soprattutto che due o più corpi nella stessa inquadratura venissero percepiti in un rapporto di co-dipendenza e di soffocamento, claustrofobia, cosa che per noi era fondamentale e ci ha aiutato a usare il fuoricampo per evidenziare ancora di più il rapporto tra interno ed esterno, tra psicologico e fisico".

Andrea Pallaoro descrivendo una delle scelte visive del suo Monica

 

Monica si apre mostrandoci la protagonista omonima che, folle d'amore, chiama un uomo che sembra averla abbandonata. 

Da questo momento, per quasi un quarto di film, l'autore raramente ci permette di allontanarci dal viso della donna, a cui la macchina da presa sembra magneticamente agganciata.

 

È una serie di sequenze estetiche molto curata, in cui le luci e le ombre che si incontrano sul volto di Monica diventano protagoniste in un caleidoscopio cromatico ostentatamente accattivante. 

L'illuminazione tagliente spesso usata per disegnare divisioni nettissime tra i lineamenti di Trace Lysette e una palette cromatica estremamente contrastata rendono l'incipit del film talmente bello da risultare fin lezioso, ma preludono intelligentemente al conflitto interiore (e fisico) della protagonista.

 

L'abbandono, il rifiuto e l'inadeguatezza - argomenti molto costanti di questa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia - sono i veri temi centrali di Monica, attraverso i quali Pallaoro cerca in ogni modo di portare lo spettatore a immedesimarsi con la protagonista e con il passato che ci suggerisce. 

 

 

[Monica e la famiglia del fratello Paul]


Un'algida e decisa Patricia Clarkson fa da perfetto contraltare a Trace Lysette raccontando con i suoi atteggiamenti più di quanto qualsiasi flashback avrebbe potuto fare: tutto nel passato e negli eventi di Monica è sotteso e sfumato.

 

Lo spettatore si ritrova quindi a percepire - più che sapere - ciò che ha segnato i conflitti tra i personaggi in scena, un non-detto che segue in continuità la protagonista, particolarmente silenziosa e compassata nel dialogo. 

Più il film avanza più l'estetica - quasi da spot pubblicitario - viene abbandonata in favore di una più classica componente visiva votata al bello, ma in maniera meno smaccata: allo stesso modo la distanza da Monica aumenta lasciando maggiore spazio alla narrazione.

 

Da figlia dimenticata diventa badante in un rimescolamento di ruoli, nomi e rapporti che è continuo nell'opera dell'autore trentino: non a caso a un certo punto Eugenia, cercando in un delirio sua madre, troverà proprio le braccia della donna ormai dimenticata. 

L'incapacità di Monica di palesarsi, di caricarsi il fardello in sapalla e di riannodare fili che sembrano ormai spezzati spingerà il suo personaggio a un continuo avvicinamento e allontanamento rispetto alla famiglia, che è il motore narrativo del film. 

 

L'opera del regista newyorkese di adozione dialoga in maniera strettissima con il background dell'attrice che interpreta la sua protagonista: la mancanza di accettazione, il sentimento di inadeguatezza e la perdita di identità e riconoscibilità sono sicuramente topos tematici centrali sia per Trace Lysette che per Monica.

 

 

[Il corpo di Monica è sempre protagonista dello sguardo asfissiante di Andrea Pallaoro]

 

Il film suggerisce come il passato e la transizione dell'attrice siano gli stessi della protagonista che interpreta. 

 

L'abbandono traumatico del focolare domestico viene rafforzato dalle differenze che caratterizzano la protagonista e il fratello Paul: da un lato famiglia, responsabilità e decisione, dall'altro vita lasciva, indecisione e riflessione li pongono agli antipodi. 

Se il film risulta più interessante quando decide di essere più estremo - al netto di una patinatura da spot troppo marcata - perde a mio avviso tutta la sua verve quando cerca di essere "solo un dramma familiare": la voglia di un ritorno alla normalità e alla familiarità potrebbe essere la chiave registica dietro alla perdita di intensità di Monica, ma forse il film a quel punto avrebbe necessitato di una scrittura più ardita o di una riflessività maggiore per sostenere questa normalizzazione stilistica. 

 

L'interesse interpretativo che indubbiamente riempie la prova di Trace Lysette secondo me non basta purtroppo a trascinare un film che con l'avanzare dei minuti perde carica e coinvolgimento e che pare mancare di guizzi e spunti per riprendere lo spettatore.

 

Pur potendo colpire per alcune delle sue scelte riuscendo a toccare una tematica complessa e spinosa in maniera delicatissima Monica sembra in definitiva peccare di incompiutezza.

 

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