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Il cielo sopra Berlino - Recensione: le voci di una città

1987: a due anni dalla caduta del Muro di Berlino Wim Wenders dipinge il ritratto di una città divisa in due

Con Il cielo sopra Berlino il regista Wim Wenders torna in Germania dopo la memorabile parentesi statunitense di Paris, Texas (1984), in particolare nella capitale tedesca due anni prima della caduta del Muro. 

 

Il film fu presentato in concorso al 40º Festival di Cannes dove vinse il premio per la Migliore Regia, un’ulteriore conferma di ciò che le opere precedenti avevano sancito, ovvero l’importanza dell’autore di Düsseldorf non solo come esponente del Nuovo Cinema Tedesco (Rainer W. Fassbinder, Margarethe von Trotta), ma nel panorama internazionale.   

 

L’atmosfera berlinese è forse ciò che più si insinua sotto l’epidermide di chiunque visiti la capitale tedesca ancora oggi: il tragico passato della città a un brevissimo passo a ritroso rispetto al presente sulla linea temporale è una creatura viva.

Berlino è una città proiettata verso il futuro, ma le sue strade trasudano i drammi del XX secolo. 

Nel 1987 la dicotomia tra presente e passato pendeva nella direzione di quest’ultimo: Il cielo sopra Berlino è simbolo di una città tra le cui mura pulsa più che mai un dolore arcano e collettivo.

 

Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander) sono i protagonisti: due angeli che, pur appartenendo alle gerarchie celesti, aspirano all’umanità. 

 

 

[Il trailer della versione restaturata 4K de Il cielo sopra Berlino, proiettata nelle sale italiane dal 2 ottobre, grazie alla collaborazione tra la Cineteca di Bologna e CG Entertainment

 

 

Le dicotomie si intersecano e si moltiplicano e, nelle loro contraddizioni, risuonano in un’inaspettata armonia: presente e passato, metafisica e carnalità, il cielo e la terra, quotidianità e poesia.

 

Gli angeli si muovono sopra la città, poi in mezzo alla città, si fanno sguardo e orecchio di cittadini e piazze, mura e strade, visibili solo ai bambini. 

Non è un caso che per tutta la durata del film venga ripetuta la poesia dedicata all’infanzia, scritta da Peter Handke, co-autore del film assieme a Wim Wenders e Premio Nobel per la Letteratura nel 2019, un invito - così caro al mondo dei poeti - a percepire il mondo con gli occhi dei bambini. 

 

"Quando il bambino era bambino, camminava con le braccia ciondoloni, voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente e questa pozzanghera il mare…"

 

La narrazione si sfalda in bilico su un semplice snodo di trama, così come in bilico è Marion (Solveig Dommartin), l’acrobata da circo che si destreggia senza rete, di cui Damiel si innamora fino a desiderare - e riuscire - a diventare umano.

 

 

[Solveig Dommartin ne Il cielo sopra Berlino]

 

Il Cinema è l’occhio degli angeli: il mondo dell’azione è solo la superficie dietro cui interrogarsi sulla realtà, sugli squarci della Storia che strappano a metà le anime dei suoi protagonisti, non i nomi altisonanti ricordati nei libri, ma quelli che, a conti fatti, sono il motore della città.

 

Il Cinema è quindi immagine-tempo, come teorizzato da Gilles Deleuze; ne Il cielo sopra Berlino l’indiscernibilità tra immagine reale e immagine virtuale si fa carne, seppur eterea.  

 

Gli angeli - così come il Cinema e i suoi autori - si fanno cantori di una memoria storica che non è sempre riconducibile a una sequela di azioni, ma di percezioni a volte in disaccordo con la realtà visibile.

Eppure ne sono anche spettatori inermi, identità indefinite avvolte in cappotti lunghi, empatizzano con le emozioni e ascoltano i pensieri e soffrono della propria immobilità.

 

Damiel dice: 

"Sì, è magnifico vivere di solo spirito e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l’eternità, soltanto ciò che è spirituale.

Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa, e allora non vorrei più fluttuare così in eterno. Vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi questa infinitezza legandomi in qualche modo alla terra, a ogni passo, a ogni colpo di vento.

Vorrei poter dire: ora, ora e ora! E non più: da sempre, in eterno.

 

Per esempio, non so, sedersi al tavolo da gioco ed essere salutato, anche solo con un cenno. Ogni volta che noi abbiamo fatto qualcosa era solo per finta: ci siamo lussati l’anca facendo la lotta di notte con uno di quelli, sempre per finta.

E ancora per finta abbiamo preso un pesce. Per finta ci siamo seduti ad un tavolo, abbiamo bevuto e mangiato.

Ci siamo fatti arrostire l’agnello e abbiamo chiesto il vino, per finta, sotto la tenda nel deserto, solo per finta."

 

Damiel e Cassiel captano le questioni essenziali dell’esistenza, il suo noumeno: per questo Henri Alekan - direttore della fotografia che in precedenza aveva collaborato con autori del calibro di René Clément, Jean Cocteau, Marcel Carné, William Wyler e lo stesso Wenders - utilizza una tinta monocromatica per le scene con il punto di vista degli angeli. 

 

All’essere umano spetta il colore, così come i sapori, gli odori, il piacere, il desiderio; l’eternità e l’onniscienza richiedono il sacrificio di un’eterna malinconia. 

 

 

[L'angelo che si fa uomo ne Il cielo sopra Berlino]



La macchina da presa ne Il cielo sopra Berlino vola tra la dea della Vittoria e la vecchia chiesa bombardata di Kaiser Wilhelm, si muove sui ponti della Sprea e lungo il Muro, si insinua tra la deserta Postdamer Platz - all’epoca terra di nessuno, oggi centro nevralgico della città, la piazza che forse più rappresenta le trasformazioni rapide dell’intera Europa - e la Biblioteca Centrale, dove riecheggia la musica e la poesia di Rainer Maria Rilke, poeta tedesco vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo. 

 

Wenders stesso ha dichiarato di aver iniziato le riprese de Il cielo sopra Berlino senza un vero copione in mano: nella non-stesura della sceneggiatura si evince l’influenza del suddetto poeta, in particolare delle Elegie duinesi, poesie rivolte agli angeli: d’altro canto, in un’operazione inversa, tipica di un emigrato che torna a casa dopo una lunga trasferta all’estero e di un popolo che non riesce più a individuare i segni divini nel cielo, sono gli angeli di Wenders a rivolgere il proprio sguardo all’uomo, non il contrario.   

 

 

[Bruno Ganz e Otto Sander ne Il cielo sopra Berlino]

 

Musica e poesia sanciscono l’indissolubilità di passato, presente e futuro: se a ispirare il lavoro di Wim Wenders, desideroso di riappropriarsi delle proprie origini dopo dieci anni negli Stati Uniti, è stata proprio l’opera di Rilke è a un concerto di Nick Cave and the Bad Seeds che Damiel conoscerà Marion.

 

ll cielo sopra Berlino è il dipinto di una città squarciata in due metà dall’opera dell’uomo, ma accomunata da un unico sguardo allo stesso cielo: un'opera irripetibile che testimonia le tragiche conseguenze della Storia senza rinunciare a volare sulle ali del desiderio. 

 

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