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Jonathan Glazer esordisce al Festival del Cinema di Cannes con La zona d'interesse, quello che ad oggi mi sembra uno dei film più potenti presentati in concorso.
Il regista britannico torna con una nuova opera a dieci anni di distanza da Under the Skin, sci-fi con protagonista Scarlett Johansson che mise d’accordo la critica, ma sfidò il pubblico contaminando un genere principalmente pop con la propria surreale poetica.
La zona d'interesse, per certi versi, è l’ennesima dimostrazione di quanto Glazer guardi al Cinema con uno sguardo e una grammatica identitarie molto forti.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo del 2014 di Martin Amis, La zona d'interesse racconta la ricerca di una vita bucolica e perfetta da parte di Rudolf Höss, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, e della moglie Hedwing, la cui casa dei sogni è letteralmente muro a muro con le pareti del famigerato campo.
Questo è quanto basta sapere per dare idea di cosa accada ne La zona d'interesse, perché la sceneggiatura scritta dallo stesso Glazer è fortemente dedicata al linguaggio per immagini e tutto quello che lo spettatore deve fare è lasciarsi trasportare in un racconto apparentemente ordinario, invaso da un sottotesto surreale e raggelante.
[La risposta del Festival a La zona d'interesse]
L’idea del film è sostanzialmente quella di dare dimensione alla crudele follia dietro l’Olocausto, mettendo in primo piano una famiglia perfetta inquadrata in un contesto idilliaco da favola, mentre alle loro spalle Auschwitz è una pesante ombra che incombe con i suoi orrori.
Tutto ciò che rappresenta la perfezione per la famiglia protagonista de La zona d'interesse non è tanto differente da quanto chiunque abbia desiderato all’epoca o desidera oggi: una bella casa, del verde nel quale far giocare i propri figli, un cane, una carriera che non lascia spazio a preoccupazioni economiche e che anzi concede anche qualche lusso: una vita tranquilla.
Tuttavia ognuno di questi simboli che descrivono l’idilliaco scenario è reso possibile dagli orrendi crimini ai danni degli ebrei, presenti in scena come ombre, memorie non più umane; tutto ciò che arricchisce la famiglia è la rappresentazione della dignità strappata via loro senza alcuna pietà: la gioia della “regina di Auschwitz” è la disumana sofferenza di centinaia di migliaia di "cose" che non sono più persone.
Persino l'idea della carriera rincorsa con stacanovismo dal capofamiglia, in questo racconto che potrebbe sembrare uscito da Ai confini della realtà, è quasi distopia.
[Il trailer internazionale de La zona d'interesse]
I successi del comandante sono la marcia della macchina di sterminio e noi rimaniamo increduli nell'assistere a dinamiche familiari e di coppia, apparentemente normali, proiettate su un telo nero, rosso e bianco la cui perenne presenza a sfondo è come il riecheggiare di una melodia grave e distorta.
Ne La zona d'interesse il regista lascia parlare la sua messa in scena e nel portarci in questa vita perfetta, questa way of life nazista, mette in chiaro come l’essere umano sia disposto ad accettare e accogliere il benessere anche se significa convivere con il tuonare degli spari delle esecuzioni.
Una famiglia protagonista di un sogno a colori nel quale di notte il rosso delle fiamme dei forni crematori cancella la volta celeste, irradiando le camere da letto. In quelle stanze però non c'è solo indifferenza e un bambino piange disperato insieme alla nonna, mentre la cenere cade lenta come la neve sui panni stesi.
La zona d'interesse è un film nel quale la realtà distorta dall’assurdo dello sguardo di Glazer fa tremare le ginocchia, perché in fondo niente di quanto raccontato è davvero così surreale.
Lo è concettualmente, ma la realtà ha superato ogni immaginazione e per quanto forte possa essere la piegatura della realtà da parte del regista, la sua diagnosi morale è accurata: siamo e siamo stati quella cosa.
[Un frame dai minuti iniziali de La zona d'interesse]
Pur non essendoci nulla di esplicito, pur lasciando ogni forma di violenza fuori dal film, La zona d'interesse riesce a far venire il voltastomaco: il peso della Storia è insostenibile.
Più la famiglia cresce e più le atrocità sullo sfondo si fanno asfissianti e la grammatica del film scelta da Glazer suggerisce con dettagli di fotografia, sonoro e messa in scena dove si trova e come si sposta lo sguardo oscuro che ci penetra e ci rende ansiogeni.
Un film che parla di nazismo, della natura dell’uomo e che condanna, in silenzio, ma con una voce forte e potente, le colpe di questo raccapricciante esercizio di umanità che abbiamo messo in atto.
La zona d'interesse riesce incredibilmente a dare una rilevanza straordinaria allo sguardo che la Storia ha riservato all’Olocausto, mettendo in scena questa come fosse quasi un’entità soprannaturale che vive nel film.
Parlare de La zona d'interesse è molto difficile se si vuole lasciare lo spettatore vergine di qualsiasi approfondimento, che sarebbe necessario per analizzare la brillante opera di narrazione messa in atto da Jonathan Glazer.
A mio avviso nessuno ha mai dipinto l’Olocausto e Auschwitz attraverso un’opera surreale come La zona d'interesse, capace di nascondere il suo carattere sotto diversi piani del racconto, perché la superficie non ha nulla di assurdo e tutto si gioca sullo sfondo, nei dettagli e in una voce autoriale che ha trovato una nuova via per veicolare la Shoah: il punto non è mostrare le atrocità, ma sottolineare come sembra non esistere un limite di fronte al quale il nostro spirito di adattamento animale possa essere abbattuto dalla ragione.
Fino a che punto siamo disposti a essere complici di una Storia infame e soffocante.
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