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Occupied City - "Recensione": occupied audience - Cannes 2023

Al Festival di Cannes viene presentato Occupied City, documentario di Steve McQueen di oltre quattro ore dedicato a raccontare l'occupazione nazista di Amsterdam

Si dice che ci sia una prima volta per tutto e Occupied City riesce nel difficile compito di diventare la mia prima balena bianca: il film che mi ha fatto scappare da una sala cinematografica. 

 

Non è un atteggiamento che condono e un po' odio me stesso per non aver resistito per l'ultima ora e quaranta; considerate le 4 ore e 20' circa di visione totale mi viene naturale usare un altro modo di dire: fatto trenta, fai trentuno! 

Sono genuinamente dispiaciuto di aver abbandonato la visione di un'opera firmata da un regista pregevole qual è Steve McQueen, soprattutto perché, se siete assidui lettori, sapete come essere onnivoro sia un po' una cosa mia. 

 

In particolare uno dei miei dogmi è non abbandonare mai la visione, per rispetto verso l'opera e il suo autore; non importa quale sia il peso di quest'ultima perché per me, una volta in sala, che si tratti di un film di serie Z o di un meraviglioso capolavoro, il rispetto deve essere il medesimo. 

Per questa ragione, per rispetto verso chi legge, verso Occupied City e verso Steve McQueen, non posso definire questo pezzo una vera e propria recensione.

 

La domanda che vi starete ponendo è: cosa ti ha spinto ad abbandonare la visione di Occupied City?

 

[Il photocall di Steve McQueen al Festival di Cannes per Occupied City]

 

Occupied City è un documentario che si presenta allo spettatore come una ricca e certosina ricostruzione degli infami eventi che hanno segnato la città di Amsterdam durante l'occupazione nazista nella Seconda Guerra Mondiale.

 

L'opera era nella mia Top delle proiezioni imperdibili al Festival di Cannes 2023, sia per il tema trattato sia per l'artista dietro la macchina da presa, la cui sensibilità nel raccontare cicatrici storiche è stata dichiarata con grazia e intelligenza con lo straordinario Hunger, ma in tutta franchezza dovrei estendere le lodi a tutta la filmografia del regista britannico.

 

Occupied City era per me un oggetto reso attraente anche dalla durata piuttosto faraonica, dato che le oltre quattro ore di documentario sembravano promettere un ritratto denso, accorato e inedito della città di Amsterdam. 

McQueen nella capitale dei Paesi Bassi ci vive e questa sua profonda conoscenza delle strade, delle piazze e di ogni anfratto della città è presente in Occupied City.

 

Tuttavia, nel raccontare l'occupazione nazista e i crimini compiuti durante la guerra, il regista decide di utilizzare un approccio che definire asettico risulta piuttosto generoso.

 

Occupied City è sostanzialmente un nozionistico susseguirsi di misfatti compiuti a ogni numero civico, in ogni piazza, via e incrocio di Amsterdam. La voce che accompagna le immagini potrebbe essere quella di un sintetizzatore vocale e spesso è chiamata a riassumere aneddoti di pochi minuti come se stesse leggendo molto attentamente il bugiardino di un medicinale.  

Non esiste la Storia né le cicatrici di un periodo che ha segnato intere generazioni e che ha contribuito alla nascita di istituzioni e di morali che oggi sembrano messe a repentaglio. 

 

Occupied City non ha davvero memoria, è più che altro un lungo, interminabile elenco di eventi che, nel riprendere i luoghi protagonisti della Amsterdam di oggi, crea un involontario e sbadato parallelismo con la pandemia.

 

 

 

 

Considerata la voce di McQueen ho il sospetto che la sua volontà fosse quella di posizionare sullo stesso piano due momenti storici molto potenti, ma in più occasioni sembra che Occupied City voglia mettere sulla stessa pedana dell'importanza storica il nazismo e i crimini commessi durante l'olocausto e la pandemia da COVID-19. 

 

Il momento più paradossale, stando alla mia esperienza con Occupied City, è un montage di anziani che vengono vaccinati accompagnato da Golden Years di David Bowie

Per quanto il documentario come genere debba attenersi ai fatti, raccontando qualcosa allo spettatore senza sfociare nella finzione o in opinioni e letture che riscrivono la cronaca storica, è cosa buona e giusta cercare un filo rosso che unisca lo storytelling di quel documentario, donando una sua unità narrativa che sia anche il "cosa" si vuole raccontare al pubblico. 

 

A causa della scelta di essere una semplice lista di luoghi ed eventi Occupied City perde secondo me ogni possibilità di coinvolgere emotivamente lo spettatore, anche solo da un punto di vista squisitamente storico/culturale, dimenticando di cercare la vena narrativa che regga il racconto della città di Amsterdam occupata, violata, oppressa e devastata dalle orribili macchinazioni naziste.

Paradossalmente, lungo la visione, ci sono voci e umori che avrebbero potuto servire a tale scopo, ma anch'esse vengono semplicemente utilizzate come fonti utili a un vuoto nozionismo.

 

Proprio questa scelta di McQueen condanna le oltre quattro ore di documentario, perché nemmeno le immagini riescono a colpire chi guarda, salvo quei casi in cui viene lasciato sbigottito, come il sopracitato esempio o grazie a istantanee catturate con maestria, ma buttate nel flusso della "narrazione" quasi casualmente. 

Nulla di quanto vediamo in Occupied City ha davvero una qualsivoglia parvenza di racconto per immagini, dando seriamente la sensazione che il regista voglia punire il suo pubblico piuttosto che sensibilizzarlo raccontando la Amsterdam occupata. 

 

Dall'opera non traspare mai l'amore del regista verso la città e verso il popolo che ha resistito all'occupazione grazie a quell'orgoglio popolare identitario che unisce.  

 

Durante la visione stampa, la prima della giornata, ho assistito a un fuggi fuggi di colleghi, divenuto poi un esodo liberatorio quando è apparso sullo schermo il desueto "intermission" di 15 minuti; escogitato oltre la metà del documentario per permettere al pubblico preso in ostaggio di riaccendere le facoltà cognitive, obnubilate dall'ipnotico canto monotono di un qualcosa che riporta un po' alle scuole elementari, quando il maestro prima di un tema ammoniva la classe dicendo: "mi raccomando, non fate la lista della spesa!".

 

Occupied City è dunque a mio avviso l'ennesima opera che non ha assolutamente idea di cosa farsene del tempo chiesto in prestito allo spettatore e che avrebbe giovato di una revisione del "come" Steve McQueen ha scelto di raccontare la Amsterdam occupata, protagonista e testimone silenziosa di un momento storico così delicato e che è importante rimanga memoria.

 

Vado al cinema da quando sono bambino e fin dalla prima volta non mi sono mai permesso di abbandonare una visione. 


Occupied City di Steve McQueen, contro ogni previsione, è diventata la mia balena bianca e, per quel che possa contare, per la prima volta in vita mia non sono riuscito a perdonare all'autore le sue mancanze decidendo di liberare me stesso dall'occupazione di Occupied City, voltandogli le spalle silenziosamente.  

 

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