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Sette interessanti cortometraggi dal FESCAAAL 2022

Selezione di alcuni cortometraggi degni di nota della trentunesima edizione del Festival Cinema Africano Asia America Latina 

Alla trentunesima edizione del FESCAAAL 2022, Festival Cinema Africano Asia America Latina, è stata presentata una selezione minuziosa formata da undici cortometraggi.

 

A seguire un breve parere su quelli che, secondo me, sono imperdibili.

 

[Trailer del FESCAAAL 2022]

 

 

Si parte con Astel di Ramata-Toulaye Sy, che racconta la storia di Astel, per l’appunto, una bambina molto affezionata a suo padre.

 

Quando la pubertà arriva, da un giorno all’altro, la giovane si ritrova separata dalla figura genitoriale maschile e viene costretta a seguire quella femminile ai fini di diventare una donna perfetta, come da tradizione del suo paese.

 

Cortometraggio ambientato in Senegal, questo breve stralcio di vita porta lo spettatore a immergersi in una cultura sconosciuta, mostrata attraverso bellissime immagini soprattutto legate alla natura, nel quale il passaggio alla pubertà viene raccontato poeticamente.

 

Altri due interessantissimi cortometraggi che fanno luce sulla figura femminile nel mondo sono Home (Imuhira) di Myriam Uwiragiye Birara e Khadiga di Morad Mostafa.

 

Il primo è la breve storia di una donna che scappa dal marito a causa del loro matrimonio forzato; quando torna a casa dalla famiglia non riceve una buona accoglienza ma, anzi, viene vista con disonore.

 

Home, coi i suoi pochissimi dialoghi e incantevoli paesaggi naturali in cui la protagonista si adagia, trasmette il bisogno di trovare l’appartenenza ad un luogo nel mondo: appunto una “casa”, che non sia per forza il posto in cui si nasce o a quello in cui si è rilegati.

  

Il secondo cortometraggio, invece, è la storia di Khadiga, donna abbandonata dal marito e madre con difficoltà ad accettare il proprio figlio, alle prese con una profonda crisi.

 

Khadiga, attraverso tantissimi primi piani sul volto affranto e pensieroso della protagonista, mostra il peso di una vita forzata e fatta di stenti, nella quale l’unica via di fuga è un gesto disperato ma a lungo meditato.

 

Si cambia tema con Blind Spot (Angel Mort) di Lotfi Achour, un drammatico cortometraggio ispirato alla storia di Kamel Matmati, morto dopo essere stato imprigionato nel 1991, tra torture e violenze, sotto la dittatura di Ben Ali.

 

Girato in bianco e nero e narrato da una voce che rappresenta Matmati stesso, il film fa uso di tecniche miste, unendo sia live-action sia animazioni e anche alcune immagini di repertorio, presentando così delle scene dove il risultato è volutamente confuso e altre dove, al contrario, c'è una resa visiva decisamente limpida.

In questo modo l'alternanza applicata da Achour è assolutamente funzionale a un bilanciamento (estetico ed emotivo) utile per le sensazioni che il regista desidera risvegliare nell'animo dello spettatore.

 

 

[Una scena di Angel Mort]

 

Anche Will My Parents Come to See Me di Mo Harawe parla di prigionia, ma in modo diverso: ambientato in Somalia, il cortometraggio mostra l’ultimo giorno di un condannato a morte.

 

Attraverso tempi estremamente dilatati, viene mostrato tutto nel dettaglio, in modo rituale, dalla sveglia all’“ultimo pasto” fino ad arrivare all’uccisione vera e propria, riuscendo a far prevalere un sentimento di angoscia e disperazione che difficilmente abbandona lo spettatore.

 

So what if the goats die (Qu’importe si les bêtes meurent) di Sofia Alaoui, invece, si allontana molto dai temi precedenti.

 

Il protagonista è il giovane pastore Abdellah che vive con suo padre. Un giorno una delle loro capre si ammala e Abdellah decide di andare a comprare del foraggio nel villaggio vicino ma, quando arriva, trova la città deserta a causa di un evento - all’apparenza delle luminose luci nel cielo - che mette in dubbio la fede del popolo.

 

Quello di Sofia Alaoui è un approccio assolutamente originale al rapporto tra Uomo e Fede, in cui si evidenzia come ogni convinzione può facilmente vacillare quando ci si trova di fronte a qualcosa di incredibile.

 

Ultimo ma non meno importante è The Departure (Le départ) di Saïd Hamich, il mio cortometraggio preferito del festival.

 

Narrato in prima persona dal piccolo Adil, il corto racconta la sua vita e tutto ciò che comporterà l’imminente partenza dal Marocco assieme al padre, senza la madre la madre che resta in patria, nella speranza di una vita migliore in Francia.

 

Un racconto semplice ma che si districa in modo eccelso su un tema dolorose e delicato, ossia cosa significhi lasciare la propria casa e i propri affetti da giovanissimi; il cortometraggio di di Hamich, oltretutto è accompagnato da una bellissima fotografia e una recitazione sorprendente, soprattutto da parte degli attori più piccoli.

 

In conclusione, si può dire che questi cortometraggi variegati nella forma, nel minutaggio e nei temi - compresi quelli che non ho nominato - sono da recuperare se si ha poco tempo ma si vuole comunque avere un’idea del cinema attuale dei luoghi segnalati dal festival stesso.

 

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