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Rabid - Recensione: un horror pandemico - FEFF 2022

Quattro episodi per raccontare l'orrore della COVID-19

Rabid è un film horror a episodi di Erik Matti, regista filippino noto in Occidente soprattutto per On the job e On the job 2: Missing 8; quest'ultimo era in concorso alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia ed è valso a John Arcilla la Coppi Volpi per la Migliore Interpretazione Maschile. 

 

Nonostante i film più celebri di Erik Matti siano action non è la prima volta che il regista si cimenta nel genere horror: oltre ad alcuni lungometraggi come Kuwaresma (2019) e Seklusyon (2016) ha anche partecipato con dei cortometraggi a due film collettivi, Silent Terror (2018) e ABCs of Death 2 (2015). 

 

In Rabid sceglie di raccontare l'orrore dell'umanità durante la pandemia da COVID-19 sfruttando elementi del folklore locale, della tradizione del Cinema horror e una copiosa dose di black humour

 

[Il trailer di Rabid]

 

 

"Siamo gli unici sfortunati?" è il primo episodio e racconta la storia di una sciamana che si finge una mendincante sordomuta e finisce per manipolare con formule magiche una famiglia di persone benestanti; non mancano i riferimenti a Netflix, alla pandemia, alla presenza degli smartphone e all'isolamento.

 

Il doppio filo che lega l'indifferenza dei ricchi e la meschineria dei poveri ha chiaramente il suo riferimento più prossimo in Parasite, tant'è che la casa stessa, posta simbolicamente in alto rispetto alla strada, è teatro delle vicende.

La sciamana rappresenta anche l'elemento irrazionale in un periodo della Storia in cui le certezze della scienza vengono perennemente messe in discussione. 

 

"Non c'è niente di meglio della carne" è l'episodio più breve di Rabid, ma il più elegante nella messinscena anche grazie all'utilizzo del bianco e nero e al tono più cupo della narrazione.

 

Ancora un isolamento, una malattia, questa volta in una caverna: un uomo tiene prigioniera sua moglie, affetta da un morbo misterioso che la spinge a desiderare carne umana.

 

 

[Una scena del secondo atto di Rabid]

 

Nel terzo atto "Le disgrazie capitano" - emblematico il titolo in inglese: "Shit happens" - viene presa di mira la malasanità; un'infermiera viene tormentata dallo spirito di un'anziana sadica e aggressiva, morta probabilmente in solitudine.

 

Un tripudio di vomito e merda che è una vera coccola per gli amanti del film d'exploitation, un piccolo incubo per gli schizzinosi. 

 

"HM?"  ("How much?") è il quarto e ultimo atto, che tocca da vicino i vizi più comuni delle classi sociali più benestanti, soprattutto durante la pandemia: i pasti a domicilio e le trasmissioni televisive di cucina.

Non manca anche l'ironia sul bisogno di validazione che è alla base della dipendenza dei social media.  

La protagonista è una madre single appena licenziata che non riesce a trovare un nuovo impiego; grazie ai continui input - ricevuti dal web e mostrati in sovraimpressione - decide di intraprendere un business casalingo di cibo d'asporto.

Per guadagnare in fretta e avere successo fa uso di un misterioso ingrediente segreto, i cui effetti saranno nefasti. 

 

Rabid racconta quattro storie satiriche che ammiccano più volte ai B-movie e ai tòpoi del Cinema horror, ma che mantengono al loro interno una straordinaria coerenza tematica nel raccontare ciò che è stata l'umanità durante la pandemia di COVID-19, senza orpelli e demistificazioni.

 

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